Alimentazione: un processo complesso tra biologia, cultura e fragilità moderne
L’alimentazione è un processo tanto biologico quanto culturale, complesso e fondamentale per la sopravvivenza. Il corpo umano è dotato di meccanismi sofisticati che regolano in modo intelligente la ricerca del cibo, generando sensazioni di fame e sete, oppure segnali di sazietà e appagamento, ogni volta che le cellule ricevono ciò di cui hanno bisogno.
Nell’epoca moderna, tuttavia, questi delicati equilibri sono stati profondamente alterati. La trasformazione industriale del cibo, la sua costante disponibilità in qualsiasi momento e luogo, e uno stile di vita sempre più sedentario hanno modificato non solo il modo in cui ci nutriamo, ma anche il nostro rapporto con il cibo stesso.
Spesso mangiare è diventato un gesto automatico e inconsapevole, privo della connessione profonda che un tempo esisteva tra alimento, bisogno e cultura.

Disturbi alimentari: quando il cibo diventa linguaggio del disagio
Queste trasformazioni hanno contribuito anche alla diffusione di disturbi alimentari, espressione di un disagio psicologico che si manifesta proprio attraverso il corpo e il cibo. Anoressia nervosa, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata sono tra i principali disturbi che colpiscono milioni di persone, spesso in età adolescenziale e giovanile. Alla base di questi comportamenti ci sono frequentemente fattori emotivi complessi, come insicurezza, bisogno di controllo, pressioni sociali legate all’immagine corporea, o vissuti personali difficili.
L’anoressia nervosa si manifesta con un forte rifiuto del cibo e una paura intensa di ingrassare, anche quando si è già sottopeso. Chi ne soffre spesso ha un’immagine distorta di sé e sente un bisogno estremo di controllo.
La bulimia, invece, è caratterizzata da abbuffate seguite da comportamenti compensatori (vomito autoindotto, uso di lassativi, digiuno) per “rimediare” al cibo ingerito.
Nel disturbo da alimentazione incontrollata, le abbuffate sono presenti ma non accompagnate da compensazioni: chi ne soffre mangia in modo compulsivo, spesso in risposta a emozioni negative, e prova vergogna o colpa successivamente.
In tutti questi casi, il cibo assume un significato che va ben oltre la nutrizione: diventa uno strumento per esprimere dolore, stress o difficoltà interiori. È per questo che affrontare i disturbi alimentari richiede un percorso psicologico complesso, basato sull’ascolto, sulla consapevolezza e sul cambiamento graduale dei propri schemi mentali.

Dal disagio alla consapevolezza: ritrovare equilibrio con il problem solving
Esistono anche situazioni meno drammatiche ma molto diffuse, quando si ha giusto qualche chilo di troppo ma i tentativi intrapresi per arrivare al peso forma (seguire diete dimagranti, limitare alimenti gustosi ma con tante calorie, aumentare attività motorie) sono abbastanza fallimentari. Non è facile rinunciare al piacere che ci regala il cibo!
Uno degli strumenti più utili per risolvere aspetti problematici del comportamento alimentare può essere il problem solving, ovvero la capacità di riconoscere un problema, analizzarlo con lucidità e costruire strategie concrete per affrontarlo. Applicato all’ambito alimentare, il problem solving aiuta la persona a uscire dal meccanismo automatico del sintomo e a recuperare la capacità di scelta consapevole.
Problem solving e alimentazione: una guida per affrontare le difficoltà
Dopo aver compreso il legame profondo tra emozioni, comportamenti e cibo, è possibile passare alla parte più concreta del problem solving: un percorso pratico, passo dopo passo, per riconoscere le difficoltà e trovare strategie efficaci per affrontarle.
- Riconosci il problema con chiarezza
Il primo passo è capire cosa succede davvero. Spesso si parla di “mangiare troppo” o “non riuscire a controllarsi”, ma è fondamentale specificare meglio:
In quali momenti avviene?
In risposta a quali emozioni o situazioni?
- Analizza il contesto
Scrivi o rifletti su cosa succede prima, durante e dopo l’episodio problematico.
Dove ti trovi?
Con chi sei?
Come ti senti?
Cosa pensi?
Questa osservazione aiuta a collegare il comportamento alimentare a stati emotivi o eventi esterni, rendendo più chiara la dinamica.
- Trova più di una possibile soluzione
Una volta compreso il problema, prova a pensare a più risposte possibili. Non esiste una sola soluzione “giusta”.
Per esempio:
“Se ogni sera mi abbuffo, potrei provare a prepararmi una cena soddisfacente e poi dedicarmi a un’attività rilassante.”
“Se salto i pasti e poi ho fame incontrollata, potrei iniziare a organizzare pasti più regolari.”
- Valuta vantaggi e svantaggi di ogni opzione
Non tutte le soluzioni sono realistiche o sostenibili. Pensa:
È fattibile nel mio contesto quotidiano?
È rispettosa della mia salute fisica ed emotiva?
Mi aiuta davvero, anche nel lungo termine?
- Sperimenta una strategia alla volta
Scegli una soluzione e provala. Anche un piccolo cambiamento può fare la differenza. Non cercare la perfezione, ma l’equilibrio.
Esempio: “Quando sento il bisogno di mangiare anche senza fame, provo prima a bere un bicchiere d’acqua, fare un respiro profondo, scrivere come mi sento e poi decidere.”
- Valuta il risultato e impara da esso
Osserva cosa ha funzionato e cosa no, senza giudicarti. Ogni tentativo è un passo avanti per conoscerti meglio. Aggiusta il tiro, prova nuove soluzioni, accogli le difficoltà come parte del processo.
Il problem solving può diventare una specie di “cassetta degli attrezzi”: quando emergono situazioni nuove o stressanti, hai già in mente strategie da applicare, piuttosto che cadere automaticamente in comportamenti disfunzionali (restrizioni, abbuffate, compensazioni).

Alcune sfide nell’applicare il problem solving
Come ogni processo di cambiamento, anche l’applicazione del problem solving può incontrare alcune difficoltà. Essere consapevoli di questi ostacoli aiuta a prevenirli e a mantenere un approccio realistico e sostenibile:
- Può essere difficile iniziare: puoi sentirti sopraffatta/sopraffatto, non vedere soluzioni possibili, o avere bassa fiducia nel fatto che possano funzionare.
- Alcune credenze rigide (esempio, “se sgarro sono un fallimento”) rendono il problem solving complicato, perché potresti saltare le fasi di valutazione obiettiva, e il tuo autogiudizio rigido blocca l’azione.
Potrebbe servirti un supporto adeguato: spesso il problem solving funziona meglio se guidato da un terapeuta esperto, che ti aiuti a rendere le soluzioni realistiche, a evitare auto-sabotaggi, e che può sostenerti nei momenti di difficoltà.
Un nuovo rapporto con il cibo e con sé stessi
L’alimentazione non è solo nutrizione, ma anche relazione con sé stessi, con le emozioni e con il mondo. Allenare il problem solving ti aiuta a spostare l’attenzione dal senso di colpa e dal giudizio verso un atteggiamento più attivo, costruttivo e gentile verso te stesso, recuperando la fiducia nella tua capacità di cambiare.
È un passo importante per costruire un rapporto più sano e consapevole con il cibo e con te stesso.
Perle di Salute: Mangiare lentamente: il primo passo verso l’equilibrio alimentare
Come primo passo verso l’alimentazione più equilibrata, potresti applicare una strategia semplice, apparentemente banale: rallentare il processo di consumazione del tuo pasto.
Il segnale di sazietà raggiunge il cervello attraverso una complessa interazione di ormoni e segnali nervosi provenienti dall’intestino e dal sistema endocrino, impiegando circa 15-20 minuti per essere pienamente elaborato.
Se mangi troppo velocemente, rischi di ingurgitare una quantità di cibo superiore al fabbisogno del tuo corpo.
Tra un boccone e l’altro, posa le posate sul piatto, mastica bene facendo attenzione alle sensazioni gustative che il cibo ti procura: è una buona strategia per mangiare con gusto ma meno, solo quello che ti serve!