Il bendaggio linfatico: un supporto per eliminare i liquidi in eccesso

E’ arrivata l’estate e, nella mente di molte persone, il caldo e il sole richiamano la spiaggia ed il mare. Ma per qualcuno questo può voler dire anche sensazione di gambe gonfie, pesanti e stanche.
Chi di noi non sogna di immergere le gambe nell’acqua fresca durante un’afosa giornata estiva?

Questa sensazione di pesantezza spesso può essere accompagnata anche da gonfiore vero e proprio, quello che viene definito edema o ristagno di liquidi. Per chi ne soffre, l’acqua fredda aiuta… ma non basta!

Edema: in aiuto il drenaggio linfatico manuale

Chi presenta un edema deve seguire una terapia apposita per migliorare questo disturbo: a seconda della gravità del gonfiore e della causa che lo scatena, possono essere di grande aiuto le terapie manuali, in particolare il Drenaggio linfatico manuale.
Questa tecnica, con manovre lente e delicate, riesce a indirizzare i liquidi, che rimangono abbandonati tra le cellule, verso luoghi più idonei (come i vasi sanguigni), oppure eliminarli, se in eccesso. In caso di edemi cronici e degenerativi, che quindi non possono guarire ma peggiorano nonostante le corrette cure, come i linfedemi o i flebedemi (tipi di gonfiore che spesso si manifestano sugli arti, solitamente inferiori a causa di problematiche del sistema linfatico o delle vene) il drenaggio linfatico manuale da solo non basta; è necessario che sia accompagnato da altri interventi per evitare che degeneri.

Linfedemi e flebedemi, cosa fare

L’iter terapeutico classico di queste disfunzioni prevede:

  • sedute di drenaggio linfatico manuale
  • cura e igiene della cute (applicazione di creme o unguenti, lavaggio con appositi detergenti e/o spugne…)
  • ginnastica apposita che favorisce il riassorbimento dei liquidi e la loro circolazione nei sistemi linfatico e venoso
  • bendaggio

Proprio su questo ultimo punto ci andremo a soffermare oggi.

Il bendaggio linfatico: di cosa si tratta

Esistono vari tipi di bendaggio, alcuni stabilizzano le articolazioni, altri migliorano dolore e tensioni muscolari; quelli di cui parleremo in questa sede sono in grado di agire su edemi ed eventuali ematomi (lividi).

I bendaggi linfatici sono delle tipologie di bendaggio che agiscono sul sistema linfatico. Ne contiamo 2 principali tipologie:

Il Kinesio taping linfatico

Questa tecnica, di recente sviluppo, ha come scopo l’aumento del drenaggio superficiale dei liquidi. Si utilizzano nastri colorati (quelli del kinesio taping, appunto) per creare delle piccole increspature cutanee, le quali agiscono come le trazioni del linfodrenaggio manuale, aumentando la capacità dei capillari linfatici di riassorbire liquidi, scarti e tutto quello che rimane in eccesso nello spazio intercellulare.
È molto utilizzato per eliminare, in maniera veloce, i residui degli ematomi.
È possibile valutarne visivamente l’efficacia poiché, dopo la rimozione, si noteranno delle linee più chiare nelle zone dov’è stato applicato il nastro.

Il bendaggio multistrato

Il bendaggio multistrato è una procedura che consente di gestire edemi importanti e soprattutto di mantenere i risultati ottenuti durante il trattamento di terapia manuale fino alla seduta successiva.
È un bendaggio che si effettua con vari tipi e strati di bende e materiale di rivestimento.
Ha come scopo quello di esercitare una pressione sull’arto, evitando che si formino nuovi liquidi nello spazio extracellulare; quelli già presenti ed in eccesso vengano riassorbiti.
Può essere applicato per alcuni giorni, senza compromettere la sua efficacia, e, se abbinato all’attività fisica (anche la semplice camminata), potenzia il sistema linfatico.
Questo tipo di bendaggio può essere anche applicato sul lipoedema (cellulite) per contrastarne il peggioramento e potenziare il trattamento già effettuato.

Edema post traumatico

Che si tratti di un edema importante, o di un edema post traumatico, l’utilizzo di bendaggi linfatici è sempre un ottimo coadiuvante alla terapia manuale:

  • consente di aumentare l’efficacia del trattamento, poiché lavora anche a distanza di tempo, quando il paziente ha concluso la seduta
  • permette di guadagnare tempo e di velocizzare i tempi di reazione del corpo
  • in alcuni casi può portare alla guarigione senza bisogno ulteriori interventi (ematomi – edemi post traumatici).

Perle di Salute – Uso della calza compressiva

Se si soffre di gonfiore agli arti, una soluzione simile al bendaggio, ma di più facile applicazione, può essere l’utilizzo della calza compressiva.
Queste calze sono dei veri e propri dispositivi medici: servono per prevenire la formazione di liquidi in eccesso, o aiutare il riassorbimento di quelli già presenti. Possono essere prescritte dal medico e acquistate in farmacia.
Alcune tipologie di calze, meno performanti, possono essere acquistate senza ricetta in farmacia o nei supermercati più forniti.

Il dolore e la terapia

il dolore e la terapia

Tanti tipi di dolore

Il dolore è una sensazione spiacevole e soggettiva che può essere descritta come una sensazione di fastidio, bruciore, puntura, tensione o pressione.

Il dolore può manifestarsi in diverse parti del corpo, come muscoli, articolazioni, nervi o organi interni, e può essere causato da molteplici fattori.

Il dolore acuto o cronico

Il male acuto di solito ha una durata limitata e spesso si manifesta in seguito ad una disfunzione o ad un trauma, come un infortunio o una ferita. In genere, il dolore acuto è una risposta del corpo ad un danno o ad una minaccia e può aiutare a proteggerci da un ulteriore danno.
Il dolore cronico, d’altra parte, dura per un periodo prolungato di tempo, spesso oltre i tre mesi, e può avere un impatto significativo sulla qualità della vita di una persona, interferendo con le attività quotidiane, il sonno e il benessere generale.

Classificazione in base all’origine

Il dolore nocicettivo è causato da un danno ai tessuti, come ad esempio una frattura o un taglio.
Il male neuropatico, d’altra parte, è causato da una sofferenza dei nervi, come ad esempio nel caso di una neuropatia diabetica.
La dolenza psicogena è causata da fattori psicologici, come lo stress, l’ansia e la depressione.

Trattamenti contro il dolore

Esistono diverse opzioni di trattamento e la scelta della terapia dipende dalla causa del dolore, dalla sua intensità e dalla sua durata.

Tra le varie opzioni di trattamento troviamo:

  • Terapia farmacologica: la terapia farmacologica è una delle opzioni più comuni per il trattamento della sofferenza. I farmaci possono essere utilizzati per ridurre la sofferenza, ridurre l’infiammazione e alleviare la tensione muscolare. Tra i farmaci utilizzati per il trattamento ci sono gli analgesici, i FANS, gli antinfiammatori, i corticosteroidi, i rilassanti muscolari e gli antidepressivi.
  • Terapia fisica: la terapia fisica, come la fisioterapia e la terapia manuale, può aiutare a migliorare la mobilità, la forza muscolare e la flessibilità, riducendo così il dolore. La terapia fisica può includere esercizi di rafforzamento, stretching, trattamenti di terapia manuale e tecniche di mobilizzazione.
  • Terapia cognitivo-comportamentale: la terapia cognitivo-comportamentale aiuta le persone ad accrescere la consapevolezza del loro dolore e a sviluppare strategie per gestirlo in modo più efficace attraverso tecniche di rilassamento, tecniche di gestione dello stress e tecniche di modificazione del comportamento.
  • Terapia chirurgica: in alcuni casi, la terapia chirurgica può essere necessaria per trattare il dolore. Ad esempio, la chirurgia può essere utilizzata per riparare o sostituire un’articolazione danneggiata

Approccio integrato al trattamento del dolore

Le terapie complementari come, ad esempio, il massaggio, il drenaggio linfatico manuale, la riflessologia plantare e il Training Autogeno, possono essere utilizzate come parte di un approccio integrato al trattamento del dolore.

Il massaggio è una tecnica di terapia manuale che utilizza tecniche manuali per migliorare la funzionalità dei tessuti molli del corpo, come muscoli, legamenti e tendini. Il massaggio può contribuire a ridurre la tensione muscolare, migliorare la circolazione sanguigna e alleviare lo stress, fattori che possono ridurre il dolore.

Il drenaggio linfatico manuale è una tecnica di terapia manuale che viene utilizzata per migliorare la circolazione linfatica e sanguigna. Questa tecnica può essere particolarmente utile per le persone che soffrono di gonfiore, ritenzione idrica e problemi circolatori. Il drenaggio linfatico manuale può aiutare ad alleviare il dolore attraverso la riduzione del gonfiore e della pressione sui tessuti circostanti.

Il massaggio delle zone riflesse del piede è una tecnica di terapia manuale che prevede la stimolazione di specifici punti sui piedi per migliorare la salute e il benessere generale del corpo. Questa tecnica può contribuire ad alleviare il dolore attraverso la stimolazione dei punti riflessi che sono collegati alle zone del corpo in cui si sperimenta la sofferenza.

Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento psicofisico che può essere utilizzata come parte di un approccio integrato per il dolore. Questa tecnica prevede l’utilizzo di esercizi di rilassamento che aiutano ad alleviare lo stress e a ridurre l’ansia, fattori che possono contribuire ad aumentare la percezione del dolore.

E’ importante ricordare che ogni persona è unica e richiede un piano di trattamento personalizzato per il proprio tipo di dolore e la propria condizione di salute generale.

In sintesi, il dolore può avere un impatto significativo sulla vita di una persona, ma ci sono diverse opzioni di terapia che possono essere un’opzione efficace per alleviare il dolore e migliorare il benessere generale.
Tuttavia, è importante che queste terapie vengano eseguite da professionisti qualificati, per garantire la loro efficacia.

Perle di salute – Impacchi caldi o freddi

Un modo semplice per alleviare il male muscolare a casa è l’applicazione di impacchi caldi o freddi sulla zona dolorante.
L’applicazione di una borsa dell’acqua calda o di un panno caldo sulla zona dolorante può aiutare a ridurre la tensione muscolare e il dolore.
In alternativa, l’applicazione di un impacco di ghiaccio sulla zona dolorante può aiutare a ridurre l’infiammazione e il gonfiore.
E’ importante fare attenzione a non applicare il calore o il freddo per più di 15-20 minuti alla volta e a non applicare il ghiaccio direttamente sulla pelle per evitare scottature.
In caso di dolore persistente o intenso, è consigliabile consultare un medico o un terapista qualificato.

Tecniche di Problem Solving nella vita di coppia

“Un rapporto di coppia è come un giardino,
per crescere rigoglioso deve essere annaffiato regolarmente.”
(John Gray)

Due “io” creano un “noi”

Nella vita di una coppia, così come generalmente nella vita di ognuno di noi, è del tutto normale attraversare momenti di difficoltà e dover affrontare problemi.

Una coppia unisce due persone, e ciascuno dei due ha un suo bagaglio di esperienze, un suo mondo di idee e opinioni, un suo punto di vista su come dovrebbe funzionare una coppia.
Due “io” distinti cercano di creare un “noi” unito, e la costruzione di un “noi” che funzioni richiede a entrambi i partner uno sforzo di adattamento, una mente flessibile e la capacità di accettare e gestire le differenze.

La crisi di coppia

Sovente, dopo una prima fase di innamoramento idilliaco prende inizio una fase in cui l’armonia iniziale comincia a vacillare e, se non si riesce a mantenere il rapporto in  equilibrio, i due partner possono sentirsi delusi dalla relazione di coppia, iniziano a discutere e spesso a litigare, arrivando a volte a una vera e propria crisi di coppia.

Si parla di crisi di coppia quando i partner vivono un malessere che dura nel tempo e, nonostante il desiderio di cambiamento, i tentativi di risolvere i problemi non danno esito positivo.

I motivi che portano alla trasformazione della coppia amorosa in un duo rabbioso, frustrato, triste, freddo e distaccato sono infiniti.
Facciamone qualche esempio:

  • Difficoltà di comunicare
  • Emozioni negative (rabbia, noia, senso di solitudine)
  • Gelosia eccessiva
  • Tradimento
  • Comportamenti aggressivi o violenti
  • Problemi di natura materiale, economici, di logistica
  • Difficoltà nella sfera sessuale
  • Diminuzione o assenza di sentimenti d’amore
  • Interferenza delle famiglie d’origine/parenti/amici/conoscenti
  • Traumi da gestire (lutto, malattie, catastrofi, trasferimenti improvvisi, perdita di lavoro…)

Spesso la miccia che crea il vacillamento può essere accesa da alcuni cambiamenti nella vita di coppia, come un nuovo inizio di lavoro, una nuova casa, la nascita di un figlio ecc.
Anche questi eventi naturali possono generare delle modifiche emotive, cognitive e comportamentali nel singolo, che creano delle difficoltà di coppia.

Il tema della colpa

I due partner purtroppo si trovano spesso a confliggere sul tema di chi è la colpa del problema apparso nella loro relazione piuttosto che capire quali sono i loro ruoli nell’assumersi la responsabilità della soluzione del problema stesso e lavorare in modo coordinato, come una squadra, verso la soluzione. Arrivando a trattare l’altro come nemico o colpevole da annientare, si arriva inevitabilmente a rendere la crisi di coppia sempre più devastante.

Il Problem Solving strategico: un aiuto nelle coppie in crisi

Per aiutare a risolvere problemi in cui si imbatte una coppia nel suo percorso di vita insieme, diventa molto utile il Problem Solving strategico.

Il problem solving strategico è una tecnica orientata a individuare le soluzioni anche ai problemi più complessi e difficili grazie all’utilizzo di stratagemmi che consentono di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.

Primo passo del problem solving strategico: definire il problema

È una fase di fondamentale importanza, in quanto senza una definizione adeguata del problema è impossibile proseguire efficacemente alla sua soluzione.
Albert Einstein diceva “Se avessi solamente un’ora per salvare il mondo, passerei 55 minuti a definire bene il problema e solo 5 a trovare la soluzione”.
Il problema deve essere definito in termini descrittivi e concreti: bisogna investire il tempo adeguato nell’analisi di che cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove esso si verifica, quando appare, come funziona.

Secondo passo del problem solving strategico: definire l’obiettivo

Una volta definito il problema, si cerca di descrivere quali sarebbero i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, farebbero affermare che esso è stato risolto. Ovvero, definire l’obiettivo da raggiungere in maniera dettagliata e concreta.
Come diceva Seneca: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Terzo passo del problem solving strategico: valutare le tentate soluzioni

In questa fase vengono presi in considerazione tutti i tentativi che sono stati fatti per risolvere il problema o per raggiungere l’obiettivo e gli effetti che questi hanno prodotto.
Questo processo serve ad individuare i tentativi fallimentari, affinché non vengano ripetuti.
Il fatto che il problema continui a esistere, e anche ad aggravarsi, significa che gli sforzi intrapresi fino ad allora sono stati inefficaci e controproducenti. Tuttavia, è possibile individuare anche tentativi che hanno avuto successo, e in questo caso è importante valutare se queste strategie possono essere riproposte nella situazione presente, anche con degli adattamenti.
Nella maggioranza dei casi, però, ciò che ha funzionato in passato fallisce nel presente perché in tempi diversi è necessario fare tentativi differenti.

La tecnica del “come peggiorare”

La tecnica del “come peggiorare” facilita l’analisi delle tentate soluzioni disfunzionali, permettendo di identificare anche tutte quelle soluzioni che potrebbero essere messe in atto in futuro e rivelarsi fallimentari.

Per ottenere ciò bisogna farsi la domanda: “Se volessi far peggiorare ulteriormente la situazione invece di migliorarla, come potrei fare?
Mentre cerchiamo le risposte a questa domanda, la mente crea una spontanea reazione avversiva, uno spontaneo evitamento verso i comportamenti peggiorativi. Inoltre, solitamente, più si spinge la mente in quella direzione, più vengono in mente soluzioni alternative.

La “tecnica dello scenario oltre il problema”

La tecnica dello scenario oltre il problema permette di definire tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
E’ un modo per rilevare concretamente le caratteristiche della “realtà ideale”, dell’obiettivo da raggiungere, ci permette di identificare i piccoli atti da compiere per superare il problema, promuovendo lo spostamento dell’attenzione del soggetto “dal presente problematico” al “futuro senza problema”.

Mettere in atto piccoli cambiamenti concreti

Ogni obiettivo da raggiungere può essere scomposto in tanti piccoli obiettivi più circoscritti ed è possibile, quindi, tracciare il percorso che sarà necessario seguire per poter arrivare alla destinazione tanto desiderata.
E’ indispensabile aggiustare il tiro progressivamente nel processo di problem solving, verificando sistematicamente l’effetto dei cambiamenti intrapresi.

I problemi di coppia sono più frequenti di quello che si pensa, anche se le persone non ne parlano volentieri pubblicamente. Ma i problemi di coppia possono essere superati e risolti!
Il punto è saper affrontare la crisi e trovare, se possibile, un nuovo equilibrio e nuovi punti di incontro.

Perle di salute – Il passato ha due facce

Nel libro “I dieci comandamenti della coppia” Camillo Loriedo, coautore, parlando di litigi in coppia consiglia:
Concentratevi sul presente, non sul passato. Non è possibile cambiare le passate esperienze. I problemi del passato talvolta stimolano il risentimento e di solito ciascun partner li ricorda in maniera diversa. Quando non si riesce a farne a meno, si finisce per generare un litigio che ha due facce e nessuna fine.

“La vita si comprende andando all’indietro, ma si vive andando in avanti” (S. Kierkegaard)

Il Drenaggio Linfatico Manuale in gravidanza: un valido alleato

La gravidanza è un momento delicato per ogni donna, ricco di aspettative ed emozioni. Insieme alla gioia, però, possono comparire anche alcuni piccoli fastidi, uno fra questi è sicuramente il gonfiore.

Il gonfiore gravidico

Il gonfiore gravidico è un fenomeno fisiologico e molto comune, soprattutto nel terzo trimestre. Di per sé non è preoccupante, ma può essere molto sgradevole.
A gonfiarsi sono soprattutto gli arti inferiori (in particolare piedi e gambe), ma anche i glutei, le mani e a volte il viso. Anche l’addome e i seni sono spesso interessati da questo fenomeno.

I disturbi che conseguono da questo gonfiore, meglio definito come edema, sono vari:

  • la sensazione di pesantezza
  • la difficoltà nell’eseguire i movimenti
  • la stanchezza
  • in alcuni casi, l’eccesso di liquidi potrebbe persino portare ad avere dolore nella zona di accumulo.

La pelle è tesa e lucida e, se si prova a comprimerla, specie nella zona anteriore alla gamba sopra la tibia, si può notare la presenza di una fossetta che rimane visibile anche qualche secondo dopo aver rilasciato la pressione del dito.
Spesso e volentieri è visibile il segno della calza, se si usano dei calzini corti e/o non adeguati.

Perché la donna accumula liquidi durante la gravidanza?

I primi responsabili di tutto questo sono gli ormoni: durante la gestazione, infatti, la carica ormonale cambia. In particolare, il progesterone e gli estrogeni vengono prodotti in quantità maggiori per preparare il corpo ad ospitare la nuova creatura.
Il progesterone produce vasodilatazione, ovvero fa aumentare la dimensione dei vasi sanguigni che diventano, per questo, più permeabili, lasciando passare molte più sostanze nei tessuti, tra cui i liquidi. Per questo si creano stasi venose e ritenzione.
Ma ci sono anche altri fattori, come l’aumento di peso, tipico della gestazione, che aumenta la fatica vascolare e quindi la quantità di liquidi persa durante il tragitto. A livello addominale, la crescita dell’utero modifica il transito dei vasi sanguigni e anche di quelli linfatici (sistema di recupero dei liquidi).

Tutto questo peggiora il sistema di ritorno dei liquidi al cuore e ne favorisce l’accumulo, che per gravità si va a posizionare nelle estremità, come i piedi. L’edema tende a peggiorare se si passa molto tempo in piedi, se la gravidanza è nei mesi caldi, e nell’ultimo trimestre.

Come contrastare il gonfiore

Per evitare i fastidi dovuti dall’edema, è possibile adottare alcune semplici accortezze:

  • Sollevare gli arti quando si riposa o se si è seduti. Questa posizione aiuta i liquidi a contrastare la forza di gravità e riduce gli accumuli.
  • Bagnare gli arti, alternando getti di acqua calda e fredda (evitare temperature estreme, preferire tiepida e fresca) avendo l’attenzione di terminare con il freddo.
  • Utilizzare calze compressive adeguate, che spesso vengo prescritte dal medico. Mantenerle anche dopo la nascita del bambino, per 6 settimane / 40 giorni successivi (puerperio). Aiutano ad evitare il rischio di trombosi, che aumenta in questo periodo.
  • Sottoporsi a sedute di Drenaggio linfatico manuale.

Drenaggio linfatico in gravidanza

Una strategia vincente per la gestione dei liquidi, in generale ma soprattutto in gravidanza, è sicuramente il linfodrenaggio.
Non potendo agire sulla causa, ovvero sullo scompenso ormonale, la strada corretta è quella di rimuovere i liquidi in eccesso: il drenaggio linfatico manuale si dimostra molto utile nella prevenzione e riduzione del gonfiore gravidico.
Questo trattamento manuale, molto delicato e lento, è in grado di ricondurre i liquidi in eccesso, che rimangono nei tessuti, al sistema linfatico, sgonfiando gli edemi e migliorando le sensazioni di fatica e pesantezza e il dolore da compressione.

Il drenaggio linfatico può essere eseguito dal terzo mese di gravidanza in poi e possono essere trattate tutte le zone che presentano edema. Non è doloroso ed anzi è consigliato per il rilassamento e per favorire il sonno.

È molto utile per contrastare i sintomi del tunnel carpale gravidico, un disturbo dovuto alla compressione del nervo mediano del polso che causa dolori, intorpidimento e formicolii alla mano ed alle dita. Durante la gravidanza, solitamente questo fenomeno è dovuto all’aumento di liquidi nella zona, ed il drenaggio, rimuovendoli, può far cessare la sintomatologia.

Anche il seno è una zona molto dolente; alcune manovre lente e delicate del drenaggio linfatico manuale possono ridurre il gonfiore dando sollievo alla gestante. Inoltre, data la grande interazione del sistema linfatico e quello immunitario, dopo il trattamento è possibile evidenziare un miglioramento nella cicatrizzazione delle ragadi del capezzolo, che spesso si possono presentare durante l’allattamento.

I risultati di questo trattamento sono misurabili e scientificamente provati; per tale motivo il linfodrenaggio è consigliato da molti medici e ginecologi. Se non specificatamente controindicato ed eseguito correttamente, non presenta rischi né per la madre né per il bambino.

Perle di salute – Le calze compressive

Per prevenire il gonfiore in gravidanza è sempre consigliabile l’utilizzo della calza compressiva, uno speciale dispositivo in grado di evitare che i liquidi si accumulino e favorire il ritorno venoso.
Queste calze sono a disposizione per tutte le persone e ne esistono di apposite per le donne in gravidanza.
Si possono comprare in farmacia e possono essere prescritte dal medico.
Alcune calze elastiche, con capacità compressive minori, sono in vendita anche nei supermercati più forniti.

Le terapie fisiche strumentali: cosa sono e a cosa servono

Mezzo fisico e Terapia fisica strumentale

La terapia fisica strumentale è una delle più antiche branche della scienza medica. Probabilmente nacque in modo del tutto empirico e casuale, magari quando un nostro antenato si soffermò a riflettere sul benessere provocato dai raggi solari che, riscaldando la parte esposta, insegnò agli uomini l’azione antidolorifica e muscolo-rilassante del calore (in determinati casi).
Da quel momento l’uomo si adoperò nella ricerca di tutti quei mezzi fisici naturali che avrebbero potuto portare qualche beneficio ad un paziente Ma che cos’è un “mezzo fisico”?
Dal greco la parola “fisica” significa natura, dunque un mezzo fisico è uno strumento naturale; pertanto una terapia effettuata con mezzi fisici sfrutterà risorse provenienti, o ispirate, da quanto presente o prodotto o derivato dalla natura.
Ad esempio, una pietra calda, riscaldata dai raggi solari, rappresenta un mezzo fisico per trasferire calore ad un tessuto, magari un muscolo, che necessiti di essere riscaldato. Al contrario, il ghiaccio è un altro mezzo fisico utile a sottrarre calore o raffreddare una parte del corpo che abbisogni di essere refrigerata.

Gli scambi di calore

Gli scambi di calore, caldo/freddo e viceversa, altro non sono che spostamenti di energia; questi provocano delle modifiche nella fisiologia del tessuto trattato e sono un tipico esempio di terapia fisica. In questo caso particolare sono una delle forme della termoterapia.
L’impatto, che queste energie hanno sui tessuti, genera una catena di reazioni biologiche che si traducono in specifici effetti terapeutici quali:

  • analgesia
  • attivazione del metabolismo locale
  • effetto decontratturante
  • tonificazione muscolare
  • effetti antinfiammatori, circolatori ed antiedemigeni
  • potenziamento del sistema immunitario, ecc.

Le terapie fisiche strumentali moderne e a cosa servono

Le terapie fisiche strumentali più frequentemente utilizzate oggigiorno sono:

  • gli ultrasuoni
  • le onde d’urto
  • il laser
  • varie forme di elettroterapia e termoterapia
  • la magnetoterapia
  • la Tecar terapia.

Di seguito cercheremo di spiegare il funzionamento e le principali indicazioni delle terapie fisiche strumentali più comuni.

Gli ultrasuoni

Gli ultrasuoni sono un tipo di terapia fisica che sfrutta le onde sonore; queste sono della stessa natura di quelle onde che noi percepiamo come suoni (musica, rumori, voci…).
Il suono è una vibrazione che induce una serie di movimenti nel mezzo che attraversa, ad esempio l’aria o l’acqua, oppure se pensiamo ad una chitarra alle vibrazioni emesse dalla cassa armonica.

Per quanto concerne gli utilizzi a livello terapeutico possono essere sfruttati gli ultra-suoni; questi sono onde meccaniche, come le precedenti, ma hanno una frequenza elevata, non udibile dall’orecchio umano. A scopo terapeutico (o estetico) hanno frequenze ed intensità specifiche.

Gli ultrasuoni sono trasmessi tramite un manipolo dotato di una testina che si applica direttamente sulla cute con del gel interposto.
Non si applicano direttamente sull’osso, ma possono essere utilizzati in caso di contratture muscolari, ematomi, tendiniti, borsiti, artrosi, sciatalgie, …
Sono invece principalmente controindicati in caso di pace maker, durante l’accrescimento osseo e in caso di tumori.

Parenti stretti degli ultrasuoni sono le onde d’urto, più moderne, più potenti ed efficaci, con campi d’applicazione notevolmente ampliati.

L’elettroterapia

L’elettroterapia sfrutta vari tipi di onde elettriche trasmesse generalmente tramite una o due coppie di elettrodi; questi ultimi sono oggigiorno autoadesivi, oppure rivestiti con del materiale spugnoso o da applicare con del gel.

Esistono molti tipi di elettroterapia: la TENS (Stimolazione Elettrica Transcutanea del Nervo) è oggi la più diffusa e, insieme alle correnti per il rinforzo muscolare, è la più conosciuta.
Tuttavia, vi sono anche le correnti diadinamiche, le interferenziali, le correnti di Kotz e le altre forme di corrente per la stimolazione muscolare, la ionoforesi (utile per veicolare un farmaco)…

Le indicazioni sono molteplici e vanno dal controllo del dolore (analgesia) ad effetti circolatori, dal rinforzo muscolare dopo un infortunio oppure per il fitness.

La laser-terapia

Il laser o laser-terapia è utilizzato in genere a scopo antinfiammatorio e antidolorifico; è un trattamento che sfrutta una sorgente luminosa.
La parola Laser è una sigla, un acronimo che stà per “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation” (“Amplificazione di luce mediante emissione stimolata di radiazione”). Il Laser è il dispositivo che produce questa particolare luce.

La laserterapia ha lo scopo di alleviare il dolore, accelerare la rigenerazione dei tessuti e ridurre l’infiammazione.
Il Laser agisce cedendo energia ai tessuti tramite un’onda luminosa.
Si ritiene che la laserterapia influisca sulla funzione delle cellule del tessuto connettivo, acceleri la riparazione del tessuto connettivo e agisca come agente antinfiammatorio, pertanto può essere utilizzato in molti disturbi dell’apparato muscolare e scheletrico.

La termoterapia

In ultimo descriviamo la termoterapia che in parte abbiamo già esposto.
Questo tipo di terapia fisica prevede uno scambio di calore tra il corpo e l’ambiente; se viene aumentata la temperatura del corpo si parla di ipertermia, se viene diminuita di crioterapia.Per quanto concerne l’aumento della temperatura possiamo citare la terapia ad infrarossi, che sfrutta delle lampade ad incandescenza e produce un aumento del metabolismo, riduzione della pressione, incremento della sudorazione, vasodilatazione locale, rilassamento muscolare ed effetto antalgico.
Dati questi effetti sono molto indicate in caso di contratture muscolari.
Accanto ai raggi infrarossi, possiamo citare le terapie che sfruttano le onde radio ed inducono un riscaldamento dall’interno del corpo, come la marconi-terapia, la radar-terapia e la Tecar-terapia.La crioterapia (strumentale) sfrutta un macchinario che sottrae calore, quindi raffredda un tessuto. Questo tipo di terapie sono indicate in caso di alterazioni circolatorie, infiammazioni, artrosi e traumi.
Tutte le terapie descritte vanno correttamente dosate e, soprattutto, prescritte da specialisti, solo se indicate e non controindicate.

Natale a tavola: gestire l'alimentazione durante le Feste

Un meraviglioso detto narra..

“Non si ingrassa da Natale a Capodanno, ma da Capodanno a Natale!”

Vero, anzi verissimo! Viviamo le Feste con tutta tranquillità e serenità.
Da dove nasce questa frase? Nasce dalla conoscenza e dalla consapevolezza che i nostri cambiamenti di massa grassa non sono così rapidi come sembra, né in aumento né in diminuzione.
A volte si ha una maggiore predisposizione ad ingrassare, ma non è così veloce come si tenderebbe a pensare.

Tre fattori che determinano il consumo energetico

Il consumo energetico di una persona è determinato da 3 fattori:

  1. Metabolismo basale
  2. Termoregolazione indotta dalla dieta
  3. Attività fisica

Il metabolismo basale

Il metabolismo basale dipende:

  • dall’età (più invecchiamo e meno spendiamo)
  • dal sesso (purtroppo le donne spendono meno calorie degli uomini)
  • dalla composizione corporea (maggiore è la quota di massa muscolare, maggiore è il metabolismo basale)
  • da una componente genetica collegata anche alla funzionalità tiroidea che determina la tipologia di coloro che “ingrassano anche solo respirando il cibo” oppure che non ingrassano “neanche mangiando quintali di pasta”.

La termoregolazione

La termoregolazione indotta dalla dieta è una spesa energetica dovuta all’assunzione degli alimenti (digestione, assorbimento, utilizzo) e dipende:

  • dalla quantità
  • dalla tipologia (le proteine determinano una spesa energetica maggiore dei carboidrati la cui spesa energetica è, a sua volta, maggiore rispetto a quella dei lipidi).

L’attività fisica

Infine, l’attività fisica determina un aumento più o meno marcato della spesa energetica della giornata in funzione alla durata ed all’intensità della stessa.

Ahimè le donne non più giovanissime, poco attive e che magari non fanno gli spuntini tra i pasti, sono le persone che dovranno stare un po’ più attente, ma NON a Natale bensì durante il resto dell’anno.

Fabbisogno giornaliero ed aumento di peso

Applichiamo un po’ di matematica: la persona media di riferimento consuma circa 2’000 calorie al giorno, considerando una vita mediamente sedentaria.

Per aumentare di 1 kg di peso corporeo dovrebbe introdurre circa 7’000 calorie in più rispetto al suo fabbisogno: dovrebbe assumere perciò 9’000 Cal in un giorno.
DIFFICILISSIMO!! Soprattutto se consideriamo che:

  • 1 chilogrammo di pasta apporta 3’500 calorie
  • 1 chilogrammo di carne invece ne apporta circa 1’100
  • aggiungiamo 1 kg di frutta che ci procurano più o meno 400 calorie
    …siamo solo a 6’000 calorie, dopodiché credo si possa esplodere!

E’ stato calcolato che un pranzo natalizio, che parte dagli antipasti fino ad arrivare al dolce (comprensivo di panettone col mascarpone!), è in grado di far ingrassare (cioè aumentare la quota effettiva di massa grassa, non il peso alla bilancia del giorno dopo) di circa 200-250 grammi.

Non solo a Natale

Il peso che si legge sulla bilancia il giorno dopo il pranzo di Natale è il risultato di un eccesso di acqua accumulata nel corpo, dovuta al cibo ed al sale, e di un gonfiore addominale legato alla difficile digestione ed a eventuale stipsi.
Quello che è il vero problema non è il Natale, e nemmeno il Capodanno. Il problema è limitare i tanti brindisi con dolce e le uscite a cena che di solito accompagnano il mese di dicembre fino all’Epifania.
L’atmosfera natalizia, il freddo, le giornate più corte sono fattori che influiscono sul nostro stato emotivo: una coccola dolce, una chiacchierata con gli amici, una cioccolata in famiglia.

Godetevi il Natale, ma stringetevi attorno ad una tazza di tè o di tisana per scaldare il corpo ed il cuore.

Perle di Salute – Come affrontare il periodo delle feste a tavola

E’ presumibile che gli sgarri avverranno… ma non perdetevi d’animo e provate a seguire questi semplici suggerimenti:

  • Se per caso avete avuto una cena con amici a cui non avete potuto dire di no su dolce e antipasti, cercate di mangiare un pochino meno il giorno dopo.
  • Evitate il più possibile di fare eccessi due o tre giorni consecutivi: un dolcetto non incide, ma se è tutti i giorni purtroppo sì.
  • Potreste anche adottare una cena depurativa a base di sole tisane contenenti tarassaco, ortica, bardana, carciofo, cardo mariano. In questo mese complicato potrebbe essere fatta una sera a settimana, così poi da favorire anche il sonno.

Ricordo inoltre, che bere acqua e fare una bella camminata aiuta anche a smaltire i liquidi in eccesso. Approfittatene se siete a casa, in vacanza: il movimento, anche con tutta la famiglia, è un modo semplice per stare in forma divertendosi.


Il tuo nutrizionista saprà sicuramente consigliarti su come gestire il piano alimentare, partendo da un’organizzazione equilibrata dei pasti della giornata e della settimana. Perché, ricordandoci che la Salute inizia dal carrello, è bene trovare un equilibrio che ci consenta di mantenerci in Salute, non solo a Natale!

La cura del piede nella tradizione orientale

Il piede di Buddha

In Asia, il piede ha una  rilevanza assoluta: il fatto che in tutte le nazioni, dall’India alle più remote isole del Giappone, vi sia la presenza dell’impronta del piede del venerabile Buddha, attribuisce a questa parte del corpo umano una valenza spirituale simbolica.
L’immagine del piede è un amuleto, è simbolo del percorso da intraprendere se si vuole evolvere, un profondo percorso corpo-mente, verso il benessere e l’armonia.
Quindi, come non prendersi cura dei piedi?

Dal Giappone il Takefumi

Una leggenda giapponese narra che gli antichi Samurai usavano tagliare con la loro spada una canna di bambù per ricavarne un pezzo sulla cui superficie arrotondata camminare, per acuire forza e vigore. La forza della pianta del piede era equiparata alla forza dell’anima ed era considerata come un secondo cuore del corpo.

Il Takefumi è fatto, appunto, con il bambù, dove “ta-ke” significa bambù e “fumi” significa calpestare, quindi “calpestare il bambù”.
Questa pratica è ancora oggi una forma molto popolare di esercizio di mantenimento della salute praticato in Giappone, Cina e Corea.

Il Takefumi può portare giovamento, sino alla risoluzione, di problemi connessi ad una varietà di disarmonie come la spalla congelata, il mal di schiena, i crampi, l’intorpidimento delle estremità, i problemi dell’apparato urinario e persino gli acufeni.

Si tratta semplicemente di tenere in casa un pezzo di bambù diviso a metà, posizionato sul pavimento con il lato arrotondato rivolto verso l’alto e di salirci, muovendo i piedi avanti e indietro.
Oppure, allineando diversi pezzi di bambù, è possibile creare una passerella su cui fare una passeggiata. In questa forma lo si trova in molte scuole giapponesi.
È un modo divertente di occuparsi dell’educazione alla salute, di insegnare l’importanza della medicina preventiva, della cura e al rispetto di sé, di introdurre una pratica di auto ascolto fin dall’infanzia.

Una raccomandazione: si  consiglia di eseguire questo esercizio, il Takefumi, da 2 a 3 volte al giorno, per un totale di circa 200/300 passi.

In Cina si dà risalto all’analogia Microcosmo-Macrocosmo

Lao Zi, il Grande Vecchio, dice:
“L’uomo vive male perché non conosce i suoi piedi; ignorando le proprie origini non si può avere la chiara visione di dove si vuole andare…”L’analogia microcosmo-macrocosmo si riferisce a una visione storica che esprime una somiglianza strutturale tra l’uomo (il microcosmo) e l’universo nel suo insieme (il macrocosmo). Data questa analogia, le verità sulla natura del cosmo nel suo insieme può essere dedotta dalle verità sulla natura umana e viceversa.Se l’uomo è come un albero che si erge tra cielo e terra, il piede rappresenta le radici.
Il piede fa parte di uno dei micro sistemi, come le mani, la schiena, l’addome o il viso, dove il tutto è rappresentato, è connesso, un riflesso dell’ordine che è insito nello stato di salute.

Le mappe plantari

I piedi sorreggono tutta la nostra struttura corporea, sono organi di sostegno e locomozione e in loro si riflette la totalità dell’organismo. Possiamo quindi dire che i piedi sono un microcosmo rispetto all’intero corpo. Il piede perciò rispecchia l’intero organismo.

Massaggiare la rappresentazione sulla mappa di un organo o di un apparato risveglia i meccanismi di autoriparazione e li armonizza.

Le mappe sono tantissime, com’è possibile che funzionino tutte?
La risposta sta nell’assunto della medicina energetica: le cose sussistono non per ciò che sono, ma per ciò che fanno.
L’IMPORTANTE È NON METTERE INSIEME LE MAPPE TRA LORO!

Ogni mappa ha un proprio filo conduttore e fa riferimento a funzioni energetiche e simboliche, oltre che anatomiche, dei singoli organi o apparati rappresentati.

Esempi di mappe dei piedi esistono in tutto l’est asiatico, dalle più esoteriche, come la mappa proveniente dal Tibet, a quelle più funzionali, più moderne, come ad esempio la mappa per i dolori dei più piccini (anche se le mamme, a tutte le latitudini, massaggiano seguendo l’istinto).

Morale sotto ai piedi? Lo stickwood tailandese

E proprio da sotto i piedi, dalla pianta del piede, che si scopre una risorsa alla portata di tutti: con l’auto massaggio, eseguito con costanza ed attenzione, si agisce indirettamente anche sull’umore!
La plurimillenaria tradizione medico-energetica, dal Regno del Siam, la Tailandia, si caratterizza per la tecnica con il bastoncino.
Dai piedi, attraverso i 72.000 canali vibrazionali, l’azione di stimolazione si riflette, come un’onda, sul bacino, sulla schiena e da lì a tutto il corpo.

La tecnica usata con lo stickwood, rigorosamente di legno come le radici, consente una pressione profonda e produce una microstimolazione sui punti trattati.
Lo stimolo agisce di riflesso, con influsso benefico su:

  • rilassatezza
  • buonumore
  • chiarezza mentale
  • recupero delle attività degli organi interni
  • miglioramento del respiro e della digestione
  • eliminazione delle tossine
  • gambe più leggere

Questa tecnica si affianca e ben si sposa al massaggio e a manovre specifiche.
A piacere, i massaggiatori, durante i trattamenti, utilizzano unguenti o creme. In Thailandia, prevalgono il Lemongrass (citronella) e l’orientalissimo Ylang ylang.

Il Lemograss (in Tailandia non te ne liberi, lo trovi dalla minestra alle creme):

  • stimola la circolazione sanguigna
  • aumenta l’attività del sistema nervoso e del metabolismo
  • combatte la depressione e l’ansia, oltre a tener lontani gli insetti.

Lo Ylang ylang:

  • possiede proprietà calmanti e distensive
  • serve per ridurre l’ipertensione
  • per contrastare lo stress
  • ha effetto astringente sulla cute.

Si crede, inoltre, che lo Ylang ylang abbia anche proprietà afrodisiache, di aumentare la sicurezza in sè stessi e il sentirsi a proprio agio con il corpo e quindi con il partner.

Le estremità del nostro corpo sono molto ricche di terminazioni nervose, fattore che le rende molto delicate, bisognose di cure e attenzioni.
Avere mani e piedi ben curati comunica prestigio, sin dall’antichità.

Perle di Salute – Cosa rilevano le scarpe

La salute dei nostri piedi si ripercuote sulla postura, sul modo in cui camminiamo e ci muoviamo.
Se dalla suola delle scarpe notiamo che il tacco è più consumato della punta, molto probabilmente il proprietario delle scarpe è una persona con dolori lombari, predisposta ad un deficit energetico dei reni.
Al contrario, nel caso di una suola di scarpa con la punta più consumata, si potrebbe supporre sia una persona  tendenzialmente un po’ nevrotica, frettolosa e con problemi digestivi.

Punti Trigger: i nodi del dolore

In presenza di un dolore, non necessariamente collegato ad un trauma diretto, siamo naturalmente portati a cercare sollievo prendendo contatto con la zona interessata.
Molto probabilmente, nel nostro “automassaggio” ci siamo imbattuti in punti dai confini molto ben individuabili, delle sorte di “nodi” che, se premuti, causavano un dolore molto acceso. Cosa sono?

Trigger Point o miogelosi: di cosa si tratta

La terapia manuale definisce questi “nodi” miogelosi, o più comunemente Trigger Point.
La parola inglese trigger può essere tradotta con l’italiano “innesco” o “grilletto”; è cioè qualcosa che fa scatenare un evento.
Esattamente come il grilletto che, se premuto, fa esplodere il colpo di pistola, un punto trigger, se premuto, provoca una sensazione di dolore profondo.
Le fibre elastiche che compongono i vari muscoli possono subire delle lesioni a seguito di un evento esterno (si parla di contusione quando le fibre si danneggiano perché qualcosa le colpisce o se ci cadiamo sopra); oppure venire sollecitate in maniera impropria e ripetutamente (nel mantenere posture viziate, ad esempio; in questo caso l’aumento di tono di queste porzioni di fibre, aiuta a creare un nuovo punto di leva, non fisiologico, più adatto a rispondere alle nuove esigenze di del corpo).
Il trigger point è la conseguenza di questi traumi.

Definizione dei punti trigger

Gli elementi anatomici coinvolti nei punti trigger (fibre muscolari o aree delle “fasce” connettivali che le rivestono) perdono la caratteristica capacità elastica che consente loro di contrarsi (per creare lavoro) per poi ritornare in posizione di riposo: rimangono tesi, induriti in alcuni punti, incapaci di ridistendersi.
Alla palpazione li rileviamo come “nodi” di forma tondeggiante o ovoidale, che fanno male nel momento in cui cerchiamo di massaggiarli.

La teorizzazione e descrizione di questi punti, seppur già noti alla medicina anche in assenza di una formulazione esatta, risale agli anni ’50 del 1900.
La dottoressa Janet Travell, famosa soprattutto per essere stata la terapista del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, introdusse per la prima volta il termine Trigger Point in riferimento ad un’ “area localizzata estremamente irritabile e dolorosa in un nodulo in un fascio teso di tessuto muscolare”.

In Myofascial pain and disfunction. The trigger point manual (1982), Janet Travell e il collega David Simons presentano, dopo circa quarant’anni di studi, la propria rivoluzionaria teoria e tecnica applicativa. Ecco così che disfunzioni e problematiche “comuni” e diffuse assumono una nuova e più complessa veste, se analizzati con la conoscenza dei trigger point come presupposto.
Secondo Travell e Simons i muscoli tendono a lesionarsi e formare trigger sempre nei medesimi punti, determinati da componenti come numero e disposizione dei fasci muscolari e, analizzando nel tempo i propri pazienti, sono arrivati a mapparne circa 400.

Vari tipi di Trigger Point

Il successo di un trattamento sta nel saper individuare la causa del dolore, nel riconoscerlo, eventualmente come riferito (ovvero generato in un punto lontano da quello in cui si manifesta, in un organo, ad esempio).

Esistono diverse tipologie di trigger point, con delle caratteristiche proprie e diverse tra loro:

  • i primari (o centrali) sono quelli più classici, situati al centro del ventre muscolare e in genere sono quelli che i pazienti riconoscono e riportano più facilmente,
  • i secondari (o satelliti) si creano nei muscoli intorno a quello primario, che rimane il primo da trattare,
  • quelli presenti negli attacchi tendinei o di attacco,
  • quelli diffusi che interessano un’intera parte del corpo e sono correlati a deformità posturali come la scoliosi o l’iperlordosi.

Trigger attivi, primari o secondari, evocano dolori riferiti e risultano dolenti alla palpazione.
Trigger latenti (o inattivi) non danno dolore riferito e non sono dolenti, ma provocano rigidità muscolare e possono riattivarsi in seguito a stimolazioni.

Le cause più comuni

Travell e Simons riconoscono nelle seguenti le cause più comuni alla base dei punti trigger:

  • una lesione muscolare (diretta o indiretta)
  • la mancanza di esercizio
  • una cattiva postura mantenuta per lunghi periodi di tempo
  • carenze vitaminiche
  • microtraumi ripetuti

Trattamento e gestione dei Trigger Point

Esistono molti modi per gestire i trigger point e sicuramente le terapie manuali (massaggio in primis o l’agopuntura) sono da considerarsi le tecniche elettive.
Anche terapie fisiche non invasive, come ultrasuoni, laser o stimolazione elettrica, possono risultare molto efficaci (ad esempio, una macchina TENS, che invia piccoli impulsi elettrici attraverso la pelle per modificare il modo in cui i segnali del dolore vengono inviati al cervello).

Perle di Salute – Rimedi casalinghi: calore e automassaggio

Per ammorbidire i Trigger Point rigidi, potrebbe essere utile aumentare la temperatura locale incrementando l’afflusso sanguigno che va a “sciogliere” le fibre tese. Questo può essere facilmente conseguito, anche a casa dal nostro paziente, applicando calore sulla cute: un impacco a base acquosa, ad esempio, oppure una sostanza lievemente irritante.

Senza doverci necessariamente procurare qualche apposito preparato, la nostra dispensa potrebbe essere già fornita di possibili prodotti adatti allo scopo come, ad esempio, il peperoncino o il rafano.
Una piccola fetta di rafano posizionata sulla cute in corrispondenza del punto dolente, può, rilasciando piccole quantità di irritanti che verranno assorbite dai tessuti più in profondità, contribuire al miglioramento del metabolismo cellulare locale, favorendo l’afflusso di sangue.

Le fibre del trigger, così sciolte, possono più facilmente essere massaggiate e quindi ridistese, oppure, in caso di lesioni di ridotte dimensioni, è possibile che questa azione, da sola, sani del tutto la miogelosi.


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Il Kinesio taping estetico: togliere le rughe con il nastro colorato

Kinesio taping: il cerotto che aiuta

I nastri colorati che abbiamo imparato a conoscere su gambe e schiene degli sportivi, ormai sono una terapia sempre più usata ed in voga.
Se prima li notavamo quasi esclusivamente su chi svolgeva attività fisica, ora li vediamo applicati su tutta la popolazione, con tanti colori e soprattutto forme diverse.

Questo trattamento è sempre più usato e sfruttato e i suoi usi sono svariati.
L’utilizzo più conosciuto è senza dubbio quello ortopedico
, che permette di lavorare sulla muscolatura per sostenerla o guidarla nel recupero.
Ma il nastro kinesiologico viene utilizzato anche a livello neurologico, linfatico ed estetico. Questi ultimi due campi sono di più recente scoperta: i nastri diventano un aiuto per i terapisti nella gestione di gonfiori, ematomi e perfino per la cellulite.

Il Taping estetico

Di ultimissima scoperta è l’utilizzo del kinesio taping nel mondo dell’estetica. I cerotti vengono usati sul viso per contrastare i segni dell’invecchiamento come le rughe.

I fanatici della skincare routine (cura ed igiene quotidiana del viso) si saranno accorti di questa nuova tendenza: da tempo spopolano sui social immagini di trattamenti viso con cerotti colorati, che hanno la promessa di un effetto lifting senza dover ricorrere al chirurgo.
Sorge spontaneo chiedersi se funzionino realmente… andiamo quindi ad analizzare come funzionano.

La tecnica del Taping estetico consiste nell’applicazione del nastro kinesiologico sul viso, alla sera, e lasciarlo in posa durante la notte. Al mattino, una volta rimossi i cerotti, il viso apparirà teso e sgonfio, a seconda delle applicazioni.

L’azione dei cerotti avviene sulla muscolatura della mimica facciale e sulla circolazione, in particolare sui liquidi in eccesso a livello di cute e sottocute.

Per la sua applicazione, a seguito di una detersione del viso, il kinesio taping viene tagliato in forme particolari e fatto aderire alla cute.
È possibile applicarlo su varie zone come:

  • la fronte
  • la zona perioculare, dove troviamo le famigerate borse e le rughe solitamente denominate “zampe di gallina”
  • attorno alle labbra
  • o sul collo.

Il nastro viene sistemato alla sera e rimane in posizione tutta la notte, momento in cui effettua la sua azione. Alla mattina si rimuovono i cerotti e si procede con la normale detersione e applicazione di crema.

I nastri kinesio

I nastri per il kinesio taping sono prodotti in cotone con fibre elastiche su cui viene applicata una colla che si attiva con il calore.
Non vi è alcun principio attivo applicato, non contengono quindi nessun tipo di farmaco e sono composti in materiale anallergico per evitare che diano reazioni cutanee.
Il nastro, inoltre, è traspirante lasciando respirare la pelle sottostante.

Gli effetti del Kinesio Tape estetico

Effetto antirughe

L’effetto antirughe si ottiene grazie alla compressione dei muscoli mimici facciali, i responsabili delle espressioni.
La limitazione del loro movimento durante la notte distende il muscolo e consente al tessuto soprastante di apparire più teso. Perciò appiattisce le rughe diminuendo l’increspatura cutanea. Questo è lo stesso meccanismo su cui si basa la ginnastica facciale.
Inoltre, l’applicazione riesce anche a dare l’effetto del sollevamento dei tessuti, simulando un lifting-non lifting.

Effetto drenante

L’effetto drenante e linfatico è utilizzato per eliminare gonfiore, ematomi e le occhiaie, ma anche per migliorare il nutrimento e l’ossigenazione della pelle.
Il nastro spinge il sistema linfatico a lavorare in maniera più efficace, portando via liquidi e rifiuti presenti nella zona e lasciando lo spazio a nuovi nutrienti.

La tecnica del Kinesio Taping è molto versatile e può essere utilizzata in tantissime modalità, ottenendo risultati soddisfacenti.

Per quanto in commercio si trovino nastri in rotolo o già pretagliati per l’autotrattamento, il kinesio taping è una tecnica molto precisa e che deve essere adattata alle caratteristiche di chi vi si sottopone.
Per questo è consigliabile affidarsi ad un professionista del campo per evitare comuni controindicazioni e fastidi.

Perle di Salute: un po’ di ginnastica facciale

Per mantenere più a lungo gli effetti del kinesio taping, è possibile svolgere, davanti allo specchio, la ginnastica facciale:

  • esercizio 1 – levigare la fronte
    aggrottare la fronte contraendo al massimo la muscolatura, successivamente spalancare gli occhi e alzare l’arcata sopraccigliare con le dita.
    Ripetere 20 volte
  • esercizio 2 – tonificazione delle labbra
    aprire la bocca come per pronunciare una ”O”, tenendo le labbra indietro cercando di non formare rughe intorno alla bocca.
    Rimanete in posizione 20 secondi.

Al termine degli esercizi è consigliato lavare il viso con acqua fresca.

La gestione delle emozioni con il Training Autogeno

Le emozioni: cosa sono

Le emozioni costituiscono un aspetto importante dell’esistenza umana, ognuno ci vive e ci convive eppure, come avevano ironicamente fatto notare negli anni ’80 due psicologi, B. Fehr e A. Russell:

“Tutti sanno cos’è un’emozione finché non si chiede loro di definirla”.

Il mondo accademico e scientifico ha sempre dedicato, e continua a dedicare, un’attenzione importante allo studio di emozioni e le considera come qualcosa di universale, caratteristico a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla cultura di appartenenza.

Lo psicologo statunitense Paul Ekman, famoso per le sue ricerche di fenomeni emotivi, definisce l’emozione in questo modo:

“Un’emozione è un processo di valutazione automatica, influenzata dal nostro passato evolutivo e personale, durante il quale sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro benessere, mentre una serie di cambiamenti psicologici e di comportamenti emotivi comincia a interagire con la situazione”.

Un’emozione è una reazione spontanea, fisiologica, generata da una serie di risposte neuronali, cioè si attiva nel corpo senza l’intervento della nostra volontà cosciente.
Qualsiasi stato emotivo tende a produrre modificazioni a livello neurovegetativo e muscolare e, quindi, a livello funzionale di svariati organi.

Quante emozioni possiamo provare e a cosa servono

Secondo Paul Ekman le emozioni universali (primarie)  sono cinque:

  1. Paura
  2. Rabbia
  3. Disgusto
  4. Tristezza
  5. Gioia

Ogni emozione primaria ha una determinata funzione evolutiva, che risiede nella conservazione del nostro benessere psico-fisico.

Le emozioni svolgono un ruolo molto importante per l’adattamento ai cambiamenti ambientali e, in tutta la storia dell’umanità, sono state determinanti per la sopravvivenza e per l’evoluzione della nostra specie.

Le emozioni sono forze motivanti che ci preparano all’azione: per esempio, in situazioni che inducono paura, preparano il corpo a fuggire o a rimanere e combattere.

Le persone presenti sono in grado di cogliere, o almeno di indovinare, le nostre emozioni dal nostro aspetto e dal nostro comportamento: capiscono quando abbiamo paura vedendoci impallidire, tremare o indietreggiare.
Senza la paura, che ci rende vigili, all’erta, non saremmo sopravvissuti ai pericoli.
Senza la rabbia, che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi, non avremmo saputo combattere per difenderci.

La reazione emotiva, non sempre positiva

La reazione emotiva può essere utile ed adattiva in determinate situazioni, ma quando è troppo intensa e soprattutto protratta nel tempo può trasformarsi in disagio.
Pensiamo, per esempio, a uno studente bloccato nel suo percorso universitario dalla paura di non superare un esame. In questo caso, solo immaginare l’evento stressante, percepito come una “minaccia”, attiva in lui automaticamente una “risposta attacco o fuga” che provoca dei cambiamenti psico-fisici significativi (irregolarità del battito cardiaco, sbalzi pressori, aumento o diminuzione di ormoni nel sangue).
Tale attivazione, se duratura ed intensa, lo rende più vulnerabile, privo di energia, condiziona negativamente la sua quotidianità.
Se il nostro studente non riuscirà a fare i conti con la sua paura, questo stato di sofferenza rischierà di persistere, aggravandosi sempre di più.

Gli effetti indesiderati delle emozioni

Gli stati emotivi conducono a tensioni nella muscolatura scheletrica, viscerale e vascolare.
Cercando di reprimere le nostre emozioni, e non riuscendo ad affrontare con successo situazioni difficili, tendiamo ad accumulare tali tensioni e a non scaricarle.
Nel caso di situazioni stressanti, mal gestite, l’accumulo di tensioni può portare ad alcuni effetti sgradevoli:

  • Costante stanchezza
  • Facile irritabilità
  • Insonnia
  • Disturbi digestivi (per esempio gastrite, ulcera, colite)
  • Tachicardia
  • Mal di testa
  • Pressione alta
  • Lombalgia
  • Indebolimento del sistema immunitario

A questo punto risulta evidente l’utilità di apprendere modalità per fronteggiare le situazioni stressanti e trovare metodi di gestione della sfera emotiva più efficaci.

Il Training Autogeno per gestire le nostre emozioni

Il Training Autogeno è un ottimo alleato nella gestione efficace e funzionale degli stati emotivi.
In questo contesto, il suo effetto è basato sul fatto che l’emotività e certe funzioni organiche sono strettamente collegate: rappresentano la globalità psicofisica.
Di conseguenza la distensione dei vari muscoli, seguita dalla sedazione dell’attività cardiaca, della respirazione e dell’attività digestiva, provoca un’induzione di calma. J.H. Schultz chiamava questo effetto “lo smorzamento delle risonanze affettive”.

In questo modo, influenzando i processi psicofisiologici nel corpo, il Training Autogeno agisce su 3 livelli:

  1. Livello fisiologico
    Aiuta a riequilibrare le funzioni vitali in generale, ponendo particolare attenzione al Sistema Nervoso Autonomo, che gestisce le risposte fisiologiche alle emozioni, e al Sistema Endocrino, che regola tutte le funzioni ormonali.
  2. Livello fisico
    Agisce sull’intero corpo e, se praticato costantemente, aiuta a mantenere o ripristinare la salute e il benessere, affrontando stress e patologie fisiche.
  3. Livello psicologico
    Aiuta a raggiungere un maggiore controllo ed una migliore gestione dello stress e delle reazioni emotive.

Nella distensione ottenuta con l’esercizio di TA, gli stati emotivi sono meno intensi, le reazioni agli eventi esterni più tranquille, l’intelletto e la ragione non più sopraffatti da essi.

Il Training Autogeno può essere utilizzato con diversi obiettivi per sedare gli stress emozionali:

  • come metodo di “emergenza”, per padroneggiare momenti di tensione eccessiva e improvvisa
  • come metodo preventivo, da praticare regolarmente per mantenere uno stato di calma di base e in previsione di momenti particolarmente stressanti
  • come metodo di crescita personale: il rilassamento psicofisico raggiunto con il Training Autogeno Inferiore è solo il primo step e può proseguire con gli esercizi del livello superiore, per lavorare con le immagini mentali suggerite dall’inconscio, per approfondire la conoscenza di sé

Grazie all’allenamento costante, il Training Autogeno diventa un ottimo strumento per far fronte ai danni psico-fisici provocati da periodi stressanti prolungati e si conferma molto utile per gestire con efficacia gli stati emotivi.

“Le persone competenti sul piano emozionale, quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente, si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita.” 
D. Goleman

Perle di Salute: usiamo la scrittura

Se non abbiamo ancora imparato a fare il Training Autogeno, possiamo ricorrere ad altri metodi per aiutarci a gestire gli stati emotivi forti e per avere le idee più chiare a proposito delle situazioni che ci mettono in difficoltà. Uno di questi è la tecnica del mettere nero su bianco i propri vissuti, pensieri, preoccupazioni.
E’ un’ottima valvola di sfogo e ci permette di esternare ansie, paure, tristezza, dolore e rabbia; ne fa calare l’intensità in modo tale che poi, in seguito con una mente più obiettiva, si può riconsiderare la situazione.

Funziona meglio se scriviamo a mano, usando carta e penna.
Scrivendo, superiamo l’inibizione e ciò che ci blocca. Iniziamo a vedere con più lucidità la nostra realtà. In qualche modo, ne prendiamo le distanze per un certo tempo e riusciamo a comprendere tutto con maggiore chiarezza.

Scopri, con un professionista, quale metodo ti aiuta a recuperare più velocemente e quali tecniche di rilassamento sono più efficaci nel tuo caso!