Comprendere e risolvere le difficoltà infantili: un approccio innovativo

paure infantili

“Tutti tranne i genitori sanno come si educano i figli!”  Robert Emil Lembke

Diventare genitori: una sfida senza manuale

Quando prendiamo la decisione di diventare genitori, assumiamo un impegno molto importante, ma spesso sentiamo la mancanza di strumenti, conoscenze, competenze per realizzarlo.
Purtroppo non esistono le “scuole guida” per genitori dove noi potremmo imparare “come si fa”. Ci facciamo guidare dall’esperienza vissuta personalmente nella nostra famiglia di origine, dalle nostre riflessioni, dai consigli proposti da parenti e amici, da informazioni che ci arrivano da professionisti con cui entriamo in contatto in quanto genitori (pediatra, maestra d’asilo, insegnante) o che possiamo trovare nei libri, nelle riviste, alla televisione, in internet…

Il ruolo dei genitori nella crescita del bambino

Ogni genitore desidera che il proprio figlio cresca sereno e forte, sicuro di sé e in grado di affrontare il mondo con autonomia e responsabilità.
Durante l’infanzia, infatti, il bambino costruisce le basi del proprio modo di essere e di vedere il mondo, e il ruolo dei genitori in questo viaggio di scoperta è molto importante: dobbiamo proporgli stimoli ed esperienze in linea con le sue crescenti competenze.
Tuttavia, accompagnare un bambino nella crescita non è sempre semplice. Ogni fase porta con sé nuove sfide, e spesso i genitori si trovano ad affrontare difficoltà senza avere risposte certe. Non sempre è immediato individuare la strategia migliore per affrontare un problema, e le soluzioni che sembrano più logiche possono rivelarsi inefficaci o addirittura controproducenti.
Mettiamo in atto una strategia che in quel momento ci sembra giusta da usare, ma talvolta non riusciamo a ottenere un risultato soddisfacente. Allora le difficoltà possono trasformarsi in complicati problemi da risolvere.
Per questo motivo, è importante avere strumenti adeguati e un approccio consapevole per affrontare il percorso educativo con equilibrio e serenità.

Le difficoltà nei bambini e negli adolescenti

Purtroppo oggi non è raro avere a che fare con bimbi insicuri, ansiosi, sovrappeso, iperattivi o apatici e con adolescenti privi di punti di riferimento, con difficoltà nello studio, con problemi nel comportamento alimentare, assidui fruitori di sostanze psicoattive e di dispositivi elettronici…
Di fronte a queste sfide, i genitori cercano di intervenire con le migliori intenzioni, ma non sempre riescono a ottenere i risultati sperati.
Quando il problema si aggrava, e noi genitori non riusciamo a ottenere un miglioramento con i nostri tentativi, è fondamentale considerare il supporto di un professionista, capace di offrire strumenti e strategie efficaci per affrontare e risolvere il problema.

La Terapia Breve Strategica in aiuto ai genitori

La Terapia Breve Strategica è un approccio terapico originale ed efficace che si differenzia da quelli tradizionali in quanto mira a risolvere problemi, anche invalidanti, in breve tempo. La modalità di intervento non prevede l’analisi delle cause del problema nel passato, ma consiste nell’attuare soluzioni nel presente, mirando a un cambiamento duraturo.

Nel caso dei bambini sotto i 12 anni d’età che presentano difficoltà o disturbi, l’intervento viene attuato attraverso la terapia indiretta e nella maggior parte dei casi dura anche poche sedute.
La terapia indiretta elegge i genitori come primi e principali artefici e protagonisti del cambiamento. Si lavora con loro senza portare il figlio in terapia e senza andare alla ricerca del “colpevole”.
Questa scelta è fatta per varie ragioni:

  • I genitori sono le persone che trascorrono più tempo con i loro figli e possono mettere in pratica, con regolarità e in prima persona, le modalità e strategie fornite dal terapeuta, che condurranno i figli al superamento del disagio e al riequilibrio dell’intero sistema familiare.
     
  • Andare dallo psicologo per un bambino potrebbe diventare anche controproducente, se prendiamo in considerazione il rischio di essere etichettato come “malato”. Causare un danno alla percezione di sé del bambino può amplificare la difficoltà che si cerca di risolvere.

Affrontare le difficoltà infantili con la Terapia Breve Strategica

Le problematiche che colpiscono i bambini sono numerose e spesso simili a quelle degli adulti. Tra le più comuni troviamo:

  • disturbi d’ansia
  • ansia da prestazione
  • fobia scolare
  • mutismo elettivo o selettivo
  • disturbo ossessivo-compulsivo
  • disordini alimentari
  • disturbo oppositivo-provocatorio
  • disturbo da isolamento

Per affrontare queste difficoltà, il terapeuta lavora direttamente con i genitori, analizzando la situazione problematica nel dettaglio: dove, quando, in quale modalità si manifesta il problema, come reagiscono i genitori e cosa provano a fare per risolverlo.

Un aspetto centrale della Terapia Breve Strategica (TBS) è l’individuazione e l’interruzione delle soluzioni tentate che si sono rivelate inefficaci o addirittura controproducenti. A queste, vengono sostituite strategie alternative, studiate per favorire un cambiamento concreto e positivo, restituendo equilibrio e benessere all’intero sistema familiare.

Comprendere e gestire le paure infantili

Superare quotidianamente piccole paure aiuta i bambini a crescere, diventare più sicuri e sentirsi più forti.
Quali sono le più comuni paure dei bambini? Alcune delle più diffuse includono:

  • La paura della separazione
  • La paura degli animali
  • La paura di certi luoghi
  • La paura del buio
  • La paura dei mostri e fantasmi
  • La paura della morte
  • La paura di rimanere da solo
  • La paura di andare a scuola

Quando un bambino manifesta una paura persistente, i genitori spesso cercano di aiutarlo, ma non sempre le strategie adottate si rivelano efficaci.
Con l’aiuto di uno specialista, i genitori verranno guidati, in una prima fase, a evitare le tentate soluzioni disfunzionali. Si consiglia di:

  • evitare le spiegazioni razionali che raramente risultano efficaci: i bambini preferiscono storie fantasiose, aneddoti o metafore
  • non costringere il bambino ad affrontare la paura in modo forzato, perché potrebbe trasformarsi in autentico terrore
  • evitare di assecondare le richieste del bambino dettate dalla sua paura (portarlo nel lettone, non portarlo a scuola…), poiché ciò conferma la validità della sua paura, la paura si rinforza positivamente
  • evitare di parlare costantemente della paura del figlio in famiglia o con altre persone, altrimenti la paura assume un’importanza maggiore e gli si ricorda che ha paura. 

Un esempio di strategie terapeutiche indirette

Una volta individuate e interrotte le strategie inefficaci, i genitori devono far sì che ogni giorno il bambino esprima a loro la sua paura, fino in fondo, esasperandone le fantasie.

  • I genitori devono limitarsi ad ascoltare il figlio senza commentare, al fine di aiutarlo a smontare le sue paure. La paura, come ogni emozione che proviamo, ha bisogno di essere espressa.
     
  • Nella seconda fase, i genitori devono esporre gradualmente il bambino alla situazione minacciosa. Se e quando la paura si manifesta, i genitori dovranno guidarlo a verbalizzare ciò che teme possa accadere e le sue sensazioni peggiori.

Di solito bastano poche settimane per condurre il bambino a superare la sua paura!

L’efficacia e l’efficienza della Terapia breve strategica

La Terapia Breve Strategica, grazie a stratagemmi e tecniche sviluppate in oltre 30 anni di ricerca, aiuta i genitori a potenziare le proprie abilità comunicative e relazionali. Questo approccio consente di passare da una realtà subita a una realtà consapevolmente gestita e costruita, offrendo strumenti concreti per affrontare e risolvere problemi complessi attraverso soluzioni semplici ed efficaci.

Dagli studi condotti dal gruppo di ricerca del Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo (che comprende più di 120 Centri affiliati in tutto il mondo), seguendo i parametri internazionali per la valutazione della efficacia ed efficienza delle psicoterapie, nell’arco di 10 anni, su un campione di 3.640 casi trattati, ben 86% con punte del 95% dei casi è stato risolto, mediante un trattamento di durata media pari a sole 7 sedute, senza l’uso di farmaci.

Perle di Salute – L’esempio dei genitori: il primo modello di apprendimento

Per essere genitori efficaci, dobbiamo impegnarci a diventare il miglior esempio possibile per i nostri figli: i bambini seguono l’esempio più di qualunque altra cosa. Non sono tanto influenzati da discorsi razionali o spiegazioni astratte, quanto dai comportamenti concreti degli adulti di riferimento.
In questo senso, non si può dunque pretendere che nostro figlio eviti di fumare se noi stessi lo facciamo, che diventi un lettore appassionato se non ha mai visto traccia di libri in casa o che non dica le parolacce se noi per primi le utilizziamo.
I bambini “respirano” l’atmosfera che regna in casa e questo sia in positivo sia, purtroppo, anche in negativo.
Per questo, se vogliamo crescere figli responsabili, sereni e consapevoli, dobbiamo essere noi i primi a incarnare quei valori e quei comportamenti che desideriamo trasmettere loro.

La TBS – Terapia Strategica Breve: cos’è e come funziona

terapia breve strategica

Ogni essere umano nel corso della propria vita attraversa momenti o periodi spiacevoli che provocano in lui un senso di malessere e sofferenza.
A volte, tali situazioni possono diventare sempre più difficoltose e trasformarsi, col tempo, in veri problemi. In tal caso, per superare adeguatamente i disagi, potrebbe essere utile un supporto di tipo psicologico.

E’ diffusa e radicata la convinzione che problemi e disagi che persistono da molto tempo, quali ad esempio depressione, fobie, panico, ossessioni, richiedano obbligatoriamente un trattamento terapeutico altrettanto lungo e sofferto. Non è sempre vero!

La Terapia Breve Strategica si differenzia da altri modelli terapeutici perché rappresenta un intervento breve e mirato per affrontare e risolvere le problematiche di tipo psicologico, utilizzando tecniche e tattiche molto efficaci ed efficienti.

Dove nasce la TBS – Terapia Strategica Breve

Nel 1990, con il primo libro di Giorgio Nardone e Paul Watzlawick, “L’arte del cambiamento”, diventato un bestseller della psicoterapia, nasce la moderna evoluzione della Terapia Breve Strategica.
Nel testo vengono presentati, per la prima volta, i protocolli specifici di trattamento per i disturbi fobici e ossessivo-compulsivi, delle sequenze di tattiche e manovre che, applicate durante la terapia con queste problematiche, ne favoriscono la soluzione in breve tempo.

Trent’anni di rigorosa ricerca empirico-sperimentale, portata avanti da Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, ha permesso di mettere a punto diversi protocolli di terapia specifici per specifiche patologie. Caratterizzati da estrema efficacia e rapidità di intervento, nei protocolli il rigore del problem solving si unisce all’estrema flessibilità dell’intervento, per adattare lo specifico protocollo all’unicità e originalità del singolo individuo.

Come funziona la TBS

L’intervento strategico è in grado di produrre significativi miglioramenti già a partire dalle prime sedute. Grazie all’utilizzo di tecniche sofisticate di conduzione del primo incontro (dialogo strategico) e all’utilizzo di compiti (“prescrizioni”) che il paziente dovrà mettere in pratica nell’intervallo tra le sedute.
La Terapia Strategica Breve non si occupa della ricerca delle cause dei problemi nel passato (che nessuno può cambiare), ma si focalizza sull’introdurre cambiamenti nel presente (non su perché c’è un problema, ma su come funziona il problema).
Il fine è la risoluzione del problema presentato, che costituisce l’obiettivo dell’intervento terapeutico.

La Terapia Strategica Breve nella pratica

Talvolta, per affrontare difficoltà personali nel rapporto con gli altri o nel lavoro, la soluzione che ci sembra giusta è quella di adottare una “strategia” che si è rivelata utile in un passato recente o remoto, in situazioni simili.
A volte questa soluzione funziona ma, a volte invece, le aspettative vengono deluse ed è proprio allora che si pensa di non essere stati sufficientemente incisivi nello sforzo di raggiungere uno scopo risolutivo.
Il “fare più di prima”, tuttavia, generalmente non solo non risolve le difficoltà originarie, ma le complica ulteriormente, trasformandole in un vero e proprio problema strutturato: le tentate soluzioni disfunzionali alimentano il problema, invece di risolverlo!

Con la TBS, il paziente, attraverso un intervento di tipo strategico, viene guidato a correggere questi tentativi rigidi e fallimentari di gestione della realtà, acquisendo, nel corso del trattamento, una maggiore elasticità mentale e la capacità di fronteggiare i problemi, sviluppando nei loro confronti, un più ampio ventaglio di strategie risolutive.
Si tratta pertanto di un intervento terapeutico breve e focale (circa dieci sedute), orientato ad eliminare la sintomatologia che induce il paziente a ricorrere al terapeuta, ma anche a rendere permanenti i risultati in funzione di un obiettivo ancora più importante: quello di cambiare le proprie abitudini disfunzionali, ossia tutti quegli atteggiamenti mentali che vanno ad incidere negativamente sulla vita quotidiana e di relazione.

La Terapia Breve Strategica non è quindi una terapia superficiale e sintomatica, ma si propone come una terapia radicale e duratura.

Di seguito vi propongo una breve sintesi dei risultati di efficacia dei vari protocolli di trattamento (Nardone, Balbi, 2008):

Con le parole di William Shakespeare, a Giorgio Nardone piace ricordare:
“non c’è notte che non veda il giorno”.

Un valido aiuto per dormire meglio ci viene offerto dal Training Autogeno, una tecnica di autodistensione sviluppata negli anni ’30 dallo psichiatra tedesco Johannes Heinrich Schultz.

Perle di Salute – Affidarsi a un professionista non è sbagliato!

Quando qualche difficoltà individuale o relazionale comincia a causarti molta insoddisfazione e sofferenza e condiziona troppo la tua vita, non esitare a chiedere un aiuto professionale!
Lo fai in tanti ambiti della tua vita: riesci bene da solo a disinfettare una piccola ferita e ad applicarvi un cerotto, però, nel caso di una lesione più profonda, vai dal chirurgo per farti mettere dei punti.
Riesci da solo a cambiare una ruota dell’auto bucata, però, nel caso di un guasto al motore, la porti dal meccanico.
Anche in quello che riguarda gli aspetti psicologici della tua vita può capitare di non riuscire a superare qualche difficoltà da solo! Anche in questo caso, puoi affidarti a un professionista.

La comunicazione efficace nel rapporto terapista-paziente

comunicazione efficace

Parlando di comunicazione

La comunicazione è un processo circolare che consiste nel trasmettere informazioni tra un emittente, ovvero chi produce il messaggio, e un ricevente, ovvero chi riceve e interpreta il messaggio.
La comunicazione serve:

  • per il raggiungimento di specifici obiettivi
  • per la creazione di reti e relazioni sociali
  • per conoscere, capire, creare e interpretare la realtà.

Esistono principalmente due tipi di comunicazione in ambito umano:

  1. la prima è la cosiddetta comunicazione di massa
  2. la seconda viene abitualmente definita comunicazione interpersonale.

La comunicazione interpersonale vede come interpreti due o più individui e si fonda su una relazione in cui gli interlocutori si influenzano reciprocamente, pur non rendendosene conto, nella maggior parte dei casi. L’atto pratico del comunicare, dunque, si basa sulla convinzione che ognuno di noi interagisca all’interno di un sistema di tipo circolare, dove il comportamento di ogni componente influenza l’altro.

Ogni comunicazione è composta da tre aspetti principali::

  • uno informativo
  • uno di contenuto
  • uno di relazione

Ciò che diciamo cambia di significato in base al modo in cui lo diciamo.
Creare una buona relazione facilita la comunicazione e reciprocamente comunicare bene favorisce la creazione di una buona relazione.

La relazione tra operatore sanitario e paziente

La comunicazione interpersonale è lo strumento principale di relazione che l’uomo ha a disposizione per creare e mantenere l’interazione con i suoi simili.

La relazione che si instaura tra operatore sanitario e paziente è complessa e particolare: porta due persone estranee tra loro alla condivisione di informazioni personali e a un contatto fisico, in situazione di sofferenza. ¨

Questo tipo di relazione presuppone:

  • sincerità
  • onestà intellettuale
  • l’uso di un linguaggio comune
  • la creazione di accordi terapeutici.

In un’ottica strategica e pragmatica, le abilità comunicative e relazionali vengono considerate ulteriori strumenti operativi che il professionista può utilizzare per rendere il suo lavoro più efficace ed efficiente.

Per comunicare in ambito sanitario, dunque, il professionista deve dimostrare competenza nella sua materia, per curare le patologie del corpo, ma deve anche conoscere le tecniche comunicative più idonee a favorire un buon rapporto con gli assistiti.

La comunicazione efficace

Una buona comunicazione nel contesto lavorativo é importante perché:

  • Aiuta a definire correttamente il problema del paziente
  • Aiuta a individuare gli stati di disagio emotivo nei pazienti e a dare risposta in modo appropriato
  • Consente di aumentare il livello di soddisfazione delle cure che il paziente riceve
  • Favorisce la partecipazione attiva del paziente alla terapia e dunque il suo successo

La comunicazione efficace tra terapista e paziente è essenziale per garantire una relazione paritaria e soddisfacente. La consapevolezza dei diversi livelli di comunicazione è fondamentali per una comunicazione efficace.

Tre livelli di comunicazione

La comunicazione interpersonale generalmente utilizza i tre linguaggi:

  • verbale
  • non verbale
  • paraverbale.

Questi tre linguaggi definiscono tre livelli di comunicazione.

La comunicazione verbale

Riguarda ciò che si dice o, nel caso della comunicazione scritta, ciò che si scrive. La comunicazione verbale comprende la scelta delle parole e la costruzione logica delle frasi, secondo le strutture grammaticali e sintattiche della lingua alla quale ci si riferisce.

La comunicazione paraverbale

Riguarda il modo in cui qualcosa viene espresso: la voce (tono, volume, ritmo), ma anche le pause, le risate, il silenzio ed altre espressioni sonore, come ad esempio schiarirsi la voce, emettere suoni…

La comunicazione non verbale

Viene chiamata anche Linguaggio del Corpo, ossia tutto quello che si trasmette attraverso postura e movimenti, ma anche attraverso la posizione che si occupa nello spazio e gli aspetti estetici.
Essa riguarda: mimiche facciali, sguardi, gesti, postura, andatura, abbigliamento, trucco, acconciatura…
Per una lettura più corretta del linguaggio non verbale, soprattutto quando si usano i gesti emblematici che sostituiscono le parole, risulta molto utile prendere in considerazione il contesto culturale del paziente: lo stesso gesto può assumere un significato diverso nel contesto culturale diverso dal nostro.

La congruenza dei tre linguaggi

Una buona comunicazione necessita, tra l’altro, che il livello verbale (il contenuto ovvero ciò che si dice con le parole) sia congruente con il livello paraverbale (ciò che qualifica il testo verbale: tono della voce, volume, ritmo delle parole, ecc) e con il livello non-verbale (ciò che il corpo “dice”: postura, prossemica, segnali neurovegetativi, mimica, ecc.).

Un presupposto per l’efficacia è che i tre livelli siano concordanti: ciò che si dice con le parole non deve essere svilito o contraddetto da “come lo si dice” né da “ciò che il corpo dice”.
In altre parole, tutto quello che fa parte del processo di comunicazione deve confermare e non contraddire il “livello di contenuto”.

La combinazione dei tre livelli di comunicazione

In ogni atto di comunicazione sono sempre presenti tutti i tre livelli.
Gli studi effettuati già negli anni ’70 hanno rilevato che nella comunicazione, soprattutto quella connotata da forte contenuto emotivo, la parte verbale della comunicazione non ha un ruolo centrale. Secondo tale studio, soltanto il 7% della comunicazione sarebbe costituito dal contenuto semantico delle parole, mentre una percentuale maggiore sarebbe veicolata dal linguaggio paraverbale e non verbale, particolarmente dalla mimica facciale, dalla gestualità, dai movimenti del corpo e dalle posture, dal contatto visivo e i movimenti oculari.

La differenza tra chi sa comunicare in modo efficace e chi, invece, non riesce a trasmettere bene il messaggio nel modo desiderato sta proprio nella capacità di sintonizzare questi 3 livelli della comunicazione.
Conoscere bene tutti i livelli, saperli gestire contemporaneamente e avere la consapevolezza della loro funzionalità è fondamentale per migliorare la propria comunicazione in modo più efficace.

L’ascolto attivo e il linguaggio non verbale

Per raggiungere l’obiettivo di una comunicazione efficace nel contesto sanitario, è necessario valutare la comunicazione non verbale del paziente per cogliere aspetti importanti del messaggio dell’interlocutore che possono non venire espressi esplicitamente per molteplici ragioni.

Il terapista deve perfezionare la capacità di ascoltare con partecipazione e senza giudicare, di essere empatico cogliendo vari segnali dello stato emotivo del paziente per capire che cosa influenza i suoi sentimenti, dimostrare di essere interessato a ciò che viene detto, sospendendo il giudizio sulle parole e sulla persona.

Grazie all’ascolto attivo e all’empatia si può costruire una relazione operatore sanitario-paziente positiva e bilaterale in cui ognuna delle due parti rispetta l’altra: il paziente rispetta la professionalità del terapista e il terapista rispetta la sensibilità del paziente perché, per ottenere una comunicazione efficace in ambito sanitario, è fondamentale restare umani.
Bisogna dare anche una giusta attenzione alla propria comunicazione non verbale, avere consapevolezza dei messaggi che si stanno inviando con il proprio linguaggio paraverbale e il linguaggio del proprio corpo per segnalare la disponibilità all’ascolto, inviare messaggi di accoglimento e segnali di comprensione.
Un paziente percepisce non soltanto cosa dice il terapista, ma soprattutto come lo dice e se i segnali del suo corpo sono allineati alle sue affermazioni.

I benefici di una comunicazione efficace

Il saper comunicare è una dote innata di alcuni, ma questo non vuol dire che gli altri non possano imparare a farlo. Soprattutto in un settore delicato e importante come quello sanitario, la comunicazione efficace non può essere affidata soltanto alle abilità comunicative innate in alcune persone, ma è necessario che tutti gli operatori sanitari acquisiscano specifiche abilità comunicative da mettere in pratica in situazioni e contesti lavorativi.

I benefici di una comunicazione efficace nella relazione operatore-paziente:

  • comunicare efficacemente e instaurare una relazione empatica con il paziente dà all’operatore un senso di efficacia e di gratificazione
  • comunicare efficacemente elimina il senso di fatica e di frustrazione
  • comunicare efficacemente fa sentire l’operatore più abile e capace

comunicare efficacemente significa avere pazienti più soddisfatti, meno assillanti e più disponibili.

In definitiva, saper comunicare efficacemente non promuove solo la salute del paziente, ma ha un impatto notevole anche sulla soddisfazione e sul benessere dell’operatore sanitario.

Perle di Salute – Le massime della comunicazione efficace

Per rendere più efficace la comunicazione verbale, al terapista possono essere utili Le massime della comunicazione efficace secondo Paul Grice

  1. QUANTITÀ: dare le informazioni necessarie per comprendere il messaggio.
    Dai un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in modo adeguato agli scopi della conversazione. 
    Non fornire un contributo più informativo del necessario.
  2. QUALITÀ: rendere credibile quanto affermi 
    Non dire ciò che credi falso. 
    Non dire ciò per cui non hai prove adeguate.
  3. RELAZIONE: rimanere nel tema che si sta trattando.
    Sii pertinente.
  4. MODO: cercare di essere chiari
    Evita espressioni oscure. 
    Evita le ambiguità.
    Sii breve.
    Sii ordinato nell’esposizione.

Il Training autogeno per bambini: fiabe e benessere

il training autogeno per bambini

Breve introduzione al Training Autogeno

Il Training Autogeno (TA) per bambini è una tecnica di rilassamento psicofisiologico, derivata dalla pratica per adulti, che aiuta i più piccoli a gestire anche stress e ansia.
Il TA è una tecnica di autodistensione psichica e somatica elaborata dallo psichiatra e neurologo tedesco Johannes Heinrich Schultz (1884-1970) per ristabilire un equilibrio psicofisico funzionale della persona, che impara a eseguirla autonomamente grazie all’allenamento quotidiano.

Il Training Autogeno contribuisce a produrre cambiamenti positivi:

  • a livello fisiologico, favorendo un riequilibrio del sistema nervoso vegetativo e del sistema endocrino, entrambi strettamente connessi ai vissuti emotivi
  • a livello fisico, migliorando lo stato di benessere e di salute generale
  • a livello psicologico, rafforzando le risorse interiori che consentono di affrontare e di superare più facilmente le difficoltà, i problemi e i conflitti della vita.

Il Training Autogeno per bambini

Il Training Autogeno (TA) è un metodo nato originariamente per essere insegnato agli adulti. In seguito, la tecnica è stata presto utilizzata anche con i bambini, attraverso l’adozione di opportune modifiche per la conduzione e per l’insegnamento degli esercizi.

Allora anche i bambini avrebbero bisogno di rilassarsi?
Spesso consideriamo l’infanzia il periodo della vita più felice e spensierato, dedicato al gioco, senza particolari responsabilità, ma…

Lo stress infantile

Sulla base della ricerca nel campo psico-pedagogico, l’APA (American Psychological Association) ha evidenziato che i bambini della società odierna si confrontano con una quantità decisamente maggiore di stress rispetto alle generazioni precedenti.
Lo stress infantile è uno stato di tensione che può manifestarsi attraverso alcuni sintomi:

  • Agitazione e nervosismo
  • Incubi e sogni di angoscia ricorrenti
  • Problemi di attenzione e concentrazione
  • Difficoltà nell’apprendimento scolastico
  • Disturbi intestinali a causa di problemi emotivi
  • Disturbi del linguaggio
  • Disturbi del sonno
  • Enuresi notturna
ta per bamini

Gli effetti del Training Autogeno per bambini

Il TA si è rivelato molto utile nella gestione dello stress infantile.
Praticando gli esercizi di Training Autogeno, è possibile:

  • ristabilire un buon equilibrio psicofisico
  • alleviare lievi disturbi di salute
  • migliorare la memoria e la concentrazione

I bambini che praticano regolarmente il TA risultano tranquilli, aperti, consapevoli di sé ed equilibrati. Quasi sempre si può osservare in loro anche un miglioramento in campo scolastico.
Con il TA, anche i bambini riescono a imparare a vivere meglio la loro quotidianità, acquisiscono capacità di comunicazione e relazione con gli altri in modo più efficace.

Elencando molteplici effetti benefici del TA sui bambini, è comunque doveroso segnalare che, in caso di disturbi più consistenti, il Training Autogeno non sostituisce una terapia. I bambini con problemi importanti vanno affidati alle cure di uno specialista competente.

training autogeno per bambini

Insegnare il Training Autogeno ai bambini attraverso le fiabe

Il rilassamento profondo di TA, con i suoi esercizi e le sue formule, va imparato.
Per apprendere gli esercizi del TA, durante gli allenamenti i bambini necessitano la presenza e l’assistenza di un adulto: genitore, educatore, insegnante. Naturalmente, l’adulto in questione deve conoscere la tecnica del TA e conoscere le modalità specifiche del suo insegnamento ai bambini.

Il TA è adatto ai bambini dai 6 anni in su. Per i bambini più piccoli di sei anni, esistono tecniche di rilassamento specifiche, che si concentrano sul movimento del corpo.

Anche a un bambino di 6 anni è difficile rimanere immobile, tenere gli occhi chiusi per qualche minuto, concentrarsi su quello che racconta l’adulto… L’allenamento di TA non deve diventare per lui un altro obbligo da svolgere sbuffando! L’adulto deve far diventare l’esercizio un’attività piacevole e divertente, usando il gioco, guidando il rilassamento del bambino con l’ausilio di una fiaba che stimola la sua immaginazione.

L’allenamento autogeno

L’allenamento autogeno dei bambini al rilassamento e al cambiamento necessita una gradualità: si parte spesso dalla costruzione interattiva di favole che prendono avvio da un disegno oppure da un gioco fatto in movimento o utilizzando qualche giocattolo, pupazzo o marionetta.
Poi il conduttore fa sdraiare il bambino e racconta lui delle storie in grado di evocare immagini piacevoli.
Le favole narrate prevedono sempre una conclusione che permette ai bambini di ritrovare un’armonia interiore.

Le formule del TA vengono incluse nelle favole per diventare, come ci insegna Gisela Eberlein, “il principio attivo che dalla situazione della favola viene trasferito nella realtà di ogni giorno”.

Attraverso l’ascolto di semplici, divertenti e fantasiose storie, i piccoli possono visualizzare le loro emozioni per ritrovare il benessere e la tranquillità, scaricare le tensioni e superare positivamente le difficoltà che incontrano.  

Attraverso la fiaba i bambini imparano facilmente gli esercizi e li eseguono volentieri: la fiaba stimola la fantasia e la creatività nel bambino, lo aiuta a superare le difficoltà di concentrazione, a sentirsi sicuro di sé, fiducioso. E’ un’attività istruttiva e allo stesso tempo divertente.

il training autogeno per bambini

Gli esercizi di TA per i bambini

Solitamente ai bambini vengono insegnati:

  • la formula della calma
  • l’esercizio della pesantezza
  • l’esercizio del calore

Quando il bambino impara bene questi esercizi, essi sono già sufficienti per rilassarsi regolarmente e al bisogno, sia fisicamente che a livello emotivo e mentale.

Altri esercizi del TA non sono adatti ai bambini perché le istruzioni sarebbero troppo complicate per loro, inoltre non sarebbe possibile controllare la loro esecuzione per evitare modalità sbagliate di pratica.
Il bambino imparerà velocemente altri esercizi del TA una volta che diventa grande.

Ai ragazzi più grandi, di 10-12 anni, il TA può essere insegnato per mezzo degli esercizi tradizionali, sempre con la supervisione di un adulto. Poi possono praticarlo regolarmente da soli. Il passaggio da una pratica guidata a una personale autonoma deve essere graduale.

Secondo lo psicologo tedesco K. Vollmar,
un genitore che decide di insegnare il TA al suo bambino non solo sfrutta l’opportunità di aiutarlo nelle situazioni difficili ma, sperimentare insieme gli esercizi di TA, gli permette di dedicare al figlio un’attenzione consapevole e costruire con lui una relazione basata sulla fiducia reciproca, una relazione unica e funzionale

Perle di Salute – Il gioco del sonno

Per aiutare il nostro bambino a rilassarsi, possiamo fare con lui “il gioco del sonno”.
Il bambino si stende supino, chiude gli occhi e “fa finta”  di essere profondamente addormentato.
Dopo qualche istante, noi verifichiamo se è “veramente addormentato” e lui, stando al gioco, cerca di “convincerci” con il suo corpo di essere sprofondato in un sonno profondo.
Solleviamo il suo braccio e lo facciamo ricadere, anche l’altro braccio; poi facciamo la stessa cosa con le gambe, muoviamo dolcemente la sua testa… il bambino deve lasciar accadere tutto questo, abbandonandovisi il più possibile e sperimentando, per mezzo del gioco, un profondo rilassamento corporeo.
Scambiamoci anche i ruoli e lasciamogli verificare come riusciamo noi a rilassarci… come se fossimo addormentati.

L’importanza del Problem Solving nel percorso educativo

problem solving nell'educazione

L’importanza dello studio e del Problem Solving nel percorso educativo

I primi due decenni della nostra vita sono dedicati principalmente allo studio: lezioni, esercizi, compiti, interrogazioni, verifiche, esami… dalla scuola elementare all’università, anno dopo anno.
Tante persone continuano a studiare anche in età adulta per diventare più efficaci e aggiornate nell’ambito lavorativo, per imparare una nuova professione, per interesse amatoriale verso alcune discipline (arte, musica, politica, informatica, storia…).
È importante studiare perché l’apprendimento non consiste nell’accumulare semplicemente le nozioni, ma ci consente di acquisire competenze, ovvero capacità di utilizzare nel mondo reale ciò che abbiamo appreso a scuola, per affrontare sfide e raggiungere i nostri obiettivi.

Studiare ci permette di sviluppare capacità di risolvere problemi, fondamentale per avere successo nella vita personale e professionale. L’efficacia delle nostre azioni aumenta significativamente quando sfruttiamo i principi di Problem Solving.

Il concetto di problem solving

Problem Solving significa letteralmente “risoluzione di problemi”, è un processo utilizzato in molti campi specifici, compresi l’intelligenza artificiale, l’informatica, l’ingegneria, la psicologia, le scienze cognitive… 
È utile non solo per scienziati e professionisti, ma fa parte della vita di tutti i giorni, per trovare soluzioni a problemi difficili o complessi.

Identificare e definire il problema

Quando possiamo dire che ci troviamo davanti a un problema?
Un problema esiste quando abbiamo un obiettivo e non sappiamo come raggiungerlo. Se lo sapessimo, non sarebbe un problema!

Non sempre ne siamo consapevoli, ma a scuola ci insegnano a risolvere problemi seguendo le fasi fondamentali di Problem Solving.
Ciò accade, per esempio, alle lezioni di matematica. Per risolvere problemi di matematica, dobbiamo:

  • definire il problema da risolvere
  • individuare le informazioni (dati del problema) in nostro possesso e le nostre conoscenze/risorse (teoremi o formule già appresi)
  • scegliere una strategia di soluzione che ci sembra più adatta
  • applicare la strategia scelta
  • valutare il risultato ottenuto grazie alle nostre azioni.

Questo metodo si applica alla soluzione di vari problemi, non solo quelli di matematica!

Affrontare le sfide dello studio

Grazie allo studio, acquisiamo molte conoscenze utili, ma è importante non dimenticare che lo studio è un’attività che richiede impegno, fatica, dovere e obbligo.
Nel percorso di studio, che comprende comprensione, memorizzazione, apprendimento e esposizione, è possibile incontrare alcune difficoltà che impediscono di ottenere risultati positivi. A volte, il superamento di tali difficoltà richiede semplicemente un maggiore impegno, mentre in altre situazioni è necessario colmare eventuali lacune didattiche precedenti.
Tuttavia, quando la difficoltà diventa insormontabile, si trasforma in un problema. In questo caso dobbiamo applicare il Problem solving appreso nel processo didattico, al processo didattico stesso!

Applicare il Problem solving al processo didattico

Nella maggior parte dei casi, la difficoltà nello studio non è legata alle capacità cognitive (memoria, intelligenza) o motivazionali (passione, interesse), ma è piuttosto riconducibile alle strategie disfunzionali utilizzate nell’affrontare lo studio e la performance scolastica.
In altre parole, è proprio il trattamento errato delle difficoltà di studio che contribuisce a perpetuare un basso rendimento o a bloccare sempre di più la performance dello studente.
In questo caso ci serve il Problem Solving Strategico!

Problem Solving Strategico nello studio

Prima di tutto, è necessario definire il problema.
Questa è una fase cruciale, poiché ciò che viene percepito come il problema evidente spesso non è il problema reale, ma solo il suo effetto o conseguenza.
Ad esempio, uno studente in difficoltà potrebbe affermare che il suo problema è non riuscire a superare un esame; tuttavia, questo potrebbe rappresentare la conseguenza negativa di un problema più profondo legato alla preparazione all’esame. Ma in cosa consiste veramente il problema? Lo studente potrebbe utilizzare un metodo di studio poco efficace o potrebbe provare un’ansia tremenda durante l’esame che gli impedisce di esporre le conoscenze acquisite.
Analizzare attentamente la situazione, approfondire e individuare la situazione critica originale rappresenta l’unico modo per giungere a una soluzione efficace.

Il secondo passo consiste nel comprendere e descrivere le strategie di studio e le strategie di gestione delle difficoltà adottate dallo studente.
Se il problema persiste, significa che le azioni intraprese non sono affatto efficaci, anzi, contribuiscono a mantenere la situazione problematica.
Consideriamo qualche esempio: lo studente mostra incapacità persino nel leggere, concentrarsi, comprendere o focalizzare l’attenzione sul materiale di studio? Si ritrova a dedicare ore ai libri, ma sembra continuare a non comprendere nulla? Forse si tratta di uno studente “evidenziatore seriale” che utilizza il metodo di studio appreso alla scuola elementare? Sottolinea, evidenzia, ripete più volte per imparare il testo a memoria, come quando studiava le poesie alla prima elementare? Oppure, lo studente pecca di perfezionismo scolastico, il suo impegno diventa pedanteria, impegnandosi eccessivamente nel concentrarsi su minimi dettagli? Dimostra una ricerca ossessiva di completezza, esaustività e impeccabilità nello studio? Potrebbe anche essere afflitto dal panico da esame, che lo paralizza durante le interrogazioni o lo spinge a fuggire, non presentarsi all’esame? Infine, potrebbe procrastinare lo studio fino all’ultimo momento, organizzando una maratona notturna prima di un esame?

Una volta identificate le strategie disfunzionali, è essenziale cercare di bloccarle, smettendo di adottare approcci che mantengono il problema invece di risolverlo, per poi iniziare a organizzare lo studio diversamente, apportando cambiamenti concreti nel modus operandi dello studente.

Applicando nuove strategie, è fondamentale valutare costantemente i loro effetti. L’obiettivo è migliorare l’efficacia dello studio e rafforzare la fiducia dello studente nelle proprie risorse. La strategia scelta deve corrispondere all’obiettivo prefissato e può essere modificata se risulta inefficace.

Risolvere problemi complessi: un approccio sequenziale e globale

Se il problema fosse così complesso da richiedere non una singola soluzione, ma un insieme di soluzioni in sequenza, è fondamentale non affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece ad affrontare quello più accessibile sul momento.
Una volta risolto il primo, si passa al secondo e così via, mantenendo però, fin dall’inizio, la visione della globalità. L’intento è quello di aggiustare progressivamente il tiro, tenendo sempre bene a mente dove vogliamo arrivare, fino a giungere alla soluzione del problema sorto nel percorso didattico.

Approcci efficaci allo studio: metodi, creatività e riflessione

Lo studio ci offre la possibilità di esplorare nuove discipline, ampliare i nostri orizzonti e soddisfare la nostra curiosità. È importante riflettere su come studiamo.
La scuola fornisce molte nozioni, ma non ci insegna come imparare ad apprendere. Studiare è un’attività che richiede metodo, tempistiche e creatività. Si studia per raggiungere obiettivi, utilizzando le proprie capacità critiche, evidenziando parole chiave, gerarchizzando e costruendo schemi. Dialogare con sé stessi e con l’autore del testo è parte integrante di questo processo.
La rielaborazione personale delle nozioni in modo creativo è alla base di un apprendimento efficace e duraturo.

Perle di Salute: distrazioni e ripassi strategici

Durante lo studio, via le distrazioni

Le distrazioni sono un problema serio, non solo per i ragazzi alle prese con lo studio, ma anche per gli adulti.
Per completare un compito in modo veloce ed efficiente, è essenziale evitare tutti i tipi di distrazione:

  • inizia trovando un ambiente tranquillo, privo di rumori o interruzioni
  • metti il cellulare in modalità silenziosa (meglio ancora se spento!) e lontano dalla tua portata
  • elimina tutte le notifiche che possono interrompere la tua concentrazione
  • concentrati solo ed esclusivamente sullo studio per massimizzare la tua produttività.

Ripassi strategici

Il ripasso è fondamentale per consolidare le informazioni nella memoria a lungo termine. Per raggiungere questo obiettivo:

  • programma sessioni di ripasso regolari, in modo da rivedere ciò che hai studiato in modo preciso e mirato
  • utilizza tecniche di ripetizione spaziata, come ripassare gli argomenti a intervalli di tempo sempre più lunghi (dopo un’ora, dopo un giorno, dopo una settimana, dopo un mese), per rafforzare la memorizzazione delle informazioni apprese
  • nel periodo più intenso di preparazione all’esame, prendi l’abitudine di ripassare velocemente, la sera, quello che hai studiato durante la giornata, mentalmente e/o sfogliando le pagine lette e i tuoi appunti.

Dipendenza da Internet: detox e supporto del Training Autogeno

training autogeno e nuove dipendenze

La nuova tecnologia

Lo sviluppo delle nuove tecnologie cambia continuamente il modo di gestire la nostra realtà quotidiana.
I primi computer sono ingombranti e si usano solo per la ricerca e il lavoro.
Alla fine degli anni ’60, inizia l’epoca di Internet e l’ingegneria elettronica si impegna a progettare e costruire le impostazioni sempre più compatte, arrivando a creare il personal computer che rende possibile usare le sue funzioni anche nella vita privata.
Con lo sviluppo della connessione attraverso la rete, nella nostra quotidianità entra la telefonia mobile e anche i computer comunicano tra loro in modo sempre più veloce ed efficace.
Negli anni, il telefono cellulare continua ad arricchire le sue funzioni, compie una fusione con il computer e diventa un piccolo computer molto portatile: uno smartphone, che riesce a stare in una tasca!

Oggi avere uno smartphone è economico, conveniente, accelera i processi lavorativi, rende sempre ed ovunque reperibili, dà sicurezza.
Grazie alle varie applicazioni  che possono essere scaricate, diventa facile, pratico, immediato e gratuito avere accesso a tanti servizi: enciclopedie e biblioteche, posti di lavoro, banche, social network, biglietterie, Whatsapp, esperti della salute, ecc.
Indubbiamente tanti benefici!
Ma… smartphone ed internet possono creare dipendenza?

Le nuove dipendenze

Il termine “dipendenza” viene utilizzato in riferimento al compromesso controllo nell’utilizzo di una determinata sostanza psicoattiva e alla persistenza nella sua assunzione, nonostante le conseguenze negative derivanti dalla sua assunzione.
Accanto alle dipendenze patologiche che potremmo chiamare “tradizionali” (da sostanze psicotrope, da farmaci, da alcol, da cibo, da tabacco…), oggi troviamo nuove forme di dipendenza che si possono definire “dipendenze senza sostanza”. Tra queste troviamo:

  • la dipendenza da TV
  • la dipendenza da internet
  • la dipendenza dai videogiochi
  • il gioco d’azzardo patologico
  • lo shopping compulsivo
  • la dipendenza dal sesso e dalle relazioni affettive
  • la dipendenza dal lavoro.

Internet: benefici, abuso e dipendenza

Sono numerosi i benefici offerti da internet e smartphone: secondo numerose ricerche, aumentano il successo scolastico, consentono  a persone lontane di restare in contatto e di fare nuove conoscenze, favoriscono la crescita culturale e personale.
Paradossalmente, il pericolo che questi benefici possano rendere dipendenti è strettamente collegato ai vantaggi che offrono.
Si osserva, per esempio, come la troppa comunicatività possa portare all’incomunicabilità di chi ne abusa, il quale può arrivare a soffrire di solitudine e depressione.

Quando si passa dall’uso ragionevole delle funzioni utili offerte da internet all’abusarne, l’accesso alla rete diventa un eccesso di rete!
L’uso protratto da parte di quegli utenti che scoprono il magnifico mondo del web (shopping on-line, giochi, gioco d’azzardo, pornografia, chat, informazioni sempre aggiornate, ecc.), oramai divenuto sempre a portata di mano grazie ai telefonini cellulari, finisce per dettare le regole del gioco fino a rendere schiavi.
Internet e l’uso dei dispositivi portatili possono facilmente sfuggire al controllo del soggetto, diventando vere e proprie compulsioni.

Quando si preferiscono i social media alle persone reali, quando non si riesce a frenare l’esigenza di controllare e-mail, facebook, messaggi whatsapp, si può cominciare a parlare di dipendenza da Internet.

Comportamenti sintomatici della dipendenza da internet

Alcuni comportamenti che possono caratterizzare patologico l’approccio ad internet di una persona:

  • La persona resta davanti al pc per lassi di tempo molto lunghi, senza averne cognizione e non interromperebbe la sua attività se qualcuno non intervenisse dall’esterno
  • Quando viene distolto dalla sua attività on line, manifesta un evidente stato di nervosismo e insofferenza, arrivando ad essere aggressivo e, a volte, violento verso colui che interrompe la sua occupazione nel web
  • Passa su internet più tempo di quanto era stato preventivato e i tentativi personali di controllarne l’utilizzo falliscono
  • Quando è connesso al web, presenta uno stato di euforia ed eccitazione, resa nota da atteggiamenti verbali e non verbali come esclamazioni ad alta voce, espressioni di entusiasmo, …
  • Per raggiungere lo stato di eccitazione desiderata, necessita di intrattenersi più tempo possibile su internet. Nega, infatti, di trascorrere troppo tempo al computer e vorrebbe passarne sempre di più
  • Coglie ogni occasione per connettersi alla rete, anche durante quelle circostanze in cui un simile comportamento non è adeguato al contesto o alla situazione. Spesso lo fa di nascosto o inventa scuse.
  • Quando non riesce a raggiungere il suo obiettivo (il web), il soggetto si mostra stanco, irritabile, apatico, intollerante.
    Un adolescente può arrivare a minacciare i genitori di commettere gesti impulsivi e pericolosi
  • L’astinenza da internet può provocare ansia, fantasie o sogni su internet, agitazione psicomotoria, pensiero ossessivo riguardante la rete, movimenti volontari o involontari, per esempio, il tamburellare con le dita
  • Si trascurano doveri e piaceri non legati alla rete: impegni lavorativi, la scuola, l’igiene personale, gli impegni sportivi, le uscite con gli amici.
  • Si abbandonano altre forme di intrattenimento come la tv, la lettura, la musica, il gioco…
  • Quando qualcuno chiede informazioni sulle attività svolte on-line, non ottiene risposte congruenti ed esaustive, ma approssimative ed evasive.
  • Tutte le attività che non hanno nulla a che fare con internet sono vissute con noia, demotivazione e fastidio.

Sintomi psicofisici della dipendenza da internet

  • Alterazioni nel comportamento alimentare: inappetenza, pasti irregolari o frettolosi (saltare i pasti, mangiare fuori pasto, mangiare in fretta per tornare sul web)
  • Alterazioni del sonno: stanchezza, perdita di sonno, difficoltà ad alzarsi la mattina, affaticamento, sogni/incubi sulle attività svolte su internet che provocano sonno agitato.
  • Alterazioni della condotta di vita: irascibilità, nervosismo, opposizione, aggressività, ribellione, disobbedienza, ansia.

Cosa possiamo fare

Il primo passo è riconoscere a sé stessi di stare attuando questi comportamenti e cominciare a modificare alcune abitudini quotidiane.
L’uso eccessivo di internet può essere un modo per rispondere a problemi emotivi sottostanti quali ansia, depressione, stress o sentimenti di rabbia accumulati nel tempo. In questi casi il web è utilizzato come un “analgesico”, per sentire meno il disagio e cercare di uscirne. 
La dipendenza da internet, quindi, potrebbe essere connessa ad altri fattori psicopatologici che spingono la persona a cercare una soluzione immediata e “più breve”.
Il web sembra rispondere proprio a questa esigenza fornendo, però, solo un’apparente soluzione ai nostri problemi.

Quando la dipendenza diventa un vero e proprio disturbo, liberarsi da essa può risultare molto difficile. Capire come uscire da una dipendenza non è certo semplice, soprattutto una volta che si è coinvolti in prima persona. Per riuscirci, bisogna disporre di risorse mentali, di tempo e di forza di volontà.
Inoltre, è molto utile essere informati sull’esistenza di percorsi terapeutici efficaci nella cura delle dipendenze che possono fornire un supporto adeguato.

Il digital detox

Sono sempre più le persone che, per contrastare gli effetti negativi dell’uso eccessivo dello smartphone, ricorrono a una qualche forma di digital detox (letteralmente “disintossicazione digitale”), ovvero un periodo di tempo in cui si sceglie volontariamente di allontanarsi da social media, giochi e internet, smettendo di utilizzare ogni forma di dispositivo digitale.

L’obiettivo del digital detox è quello di rendere le persone più consapevoli del proprio rapporto con la tecnologia, in modo da renderlo più sano ed equilibrato. 

Il periodo di disconnessione può essere molto variabile, in base alle proprie esigenze e al tipo di approccio per cui si preferisce optare: 

  • chi ha bisogno solo di una piccola “spinta” per limitare l’utilizzo del proprio smartphone, può affidarsi a delle “digital detox” app, ovvero delle applicazioni per smartphone che incoraggiano a passare del tempo lontano dallo schermo oppure inviano una notifica nel caso in cui si stia facendo un uso eccessivo del telefono, indicando il tempo trascorso sulle singole app
     
  • per chi deve utilizzare quotidianamente lo smartphone per motivi di lavoro e ha difficoltà a mantenere un corretto equilibrio, con conseguenze negative sulla vita di coppia o di famiglia, una possibile soluzione è prendere l’abitudine di spegnere il cellulare ogni giorno dopo cena e fino al mattino seguente e/o disconnettersi nel weekend
     
  • per chi cerca una “disintossicazione” più importante e intensiva, esistono i digital detox hotel, un luogo in cui, lontani dalle distrazioni del mondo digitale, è possibile concedersi del tempo per rilassarsi, fare meditazione e riconnettersi con sé stessi.

Il Training Autogeno come supporto

Anche il Training Autogeno può risultare molto utile per affrontare il problema della dipendenza da Internet.
Uno dei capisaldi alla base del Training Autogeno è la connessione tra mente e corpo: è una tecnica positiva volta a migliorare e potenziare sé stessi.

Il suo obiettivo è portare il soggetto in uno stato di profondo rilassamento per renderlo maggiormente ricettivo alle emozioni, alle sensazioni corporee e psicologiche.
Il Training Autogeno consiste nell’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione che, man mano, permettono ai nostri sistemi organici di poter modificare in maniera positiva il loro funzionamento con l’effetto di scaricare tensioni, ansia e stress accumulati.

Dopo aver imparato gli esercizi base, con dovuto allenamento volto a rendere i loro effetti  sempre più evidenti e immediati, si passa all’utilizzo delle Formule Intenzionali (proponimenti) pronunciate ripetutamente dal soggetto in stato di profondo rilassamento. Le Formule Intenzionali svolgono la funzione di autosuggestione, particolarmente efficace proprio grazie alla distensione psicofisica totale e alla concentrazione focalizzata sulla formula, mentre la percezione del mondo esterno risulta fortemente ridotta.

Storicamente nell’ambito del Training Autogeno si è accumulata l’esperienza di trattamento delle dipendenze da sostanze (etilismo, tabagismo, cocainomania) che dimostra la sua efficacia nel caso in cui la persona abbia acquisito la consapevolezza del proprio problema e si senta motivato a risolverlo.

Non abbiamo ancora i dati statistici certi sull’efficacia del TA nel trattamento delle nuove dipendenze. Tuttavia, grazie al fatto di rendere il soggetto più tranquillo e capace di gestire gli stati emotivi, più sicuro di sé e più consapevole delle proprie risorse, che possono essere potenziate grazie all’uso delle Formule Intenzionali, il Training Autogeno agisce sui fattori psicologici che lo spingono all’abuso dell’Internet. 
Riducendo l’esposizione agli strumenti elettronici e il tempo di connessione, oltre a limitare l’esposizione ai raggi blu causa della riduzione del sonno e di un maggior affaticamento psicofisico, la persona riprende il controllo di sé, ritorna ad avere relazioni reali, conquista tempo. In sintesi, si riappropria della vita che stava sprecando.

La comunicazione efficace nella coppia

comunicazione efficace nella coppia

L’innamoramento e la relazione

Nel corso della nostra esistenza incontriamo tante persone e ci può capitare di sentire un’attrazione molto forte verso una di loro, di sentire il desiderio di passare sempre più tempo in sua compagnia. 
“Ti penso… mi manchi… ti desidero… voglio stare con te…” In breve, ci sentiamo innamorati! Se il nostro sentimento è corrisposto, prende inizio una relazione.

L’innamoramento reciproco consente la formazione della coppia e fa sentire entrambi i partner uniti all’interno di una relazione intima, crea un legame confidenziale connotato da coinvolgimento emotivo, sentimentale e anche erotico e sessuale, fiducia e speranza.
E’ un processo caratterizzato prevalentemente da meccanismi di idealizzazione di sé e dell’amato: ciascuno propone inconsapevolmente all’altro un’immagine ideale di sé.

E’ importante avere la consapevolezza che ogni rapporto di coppia emerge dall’incontro di due individui diversi, che arrivano da due mondi diversi, che riflettono idee, speranze, illusioni ed elementi della propria storia personale che a volte possono essere molto simili, mentre altre l’esatto opposto.
Da due individui si crea una diade in cui entrambi si influenzano, influenzano il rapporto di coppia e vengono influenzati dalla relazione stessa.

comunicazione nella coppia

La disillusione ed il conflitto

Solitamente, col passare del tempo l’intensità iniziale del sentimento tende a calare e la quotidianità porta a fare i conti con la realtà.
La pretesa irreale di poter realizzare il proprio sogno di una coppia “ideale” va inevitabilmente incontro alla disillusione per cui il partner non è poi così perfetto come sembrava. La relazione può entrare così in una fase di crisi in cui non ci si sente più capiti e corrisposti come prima.

Se all’inizio del rapporto i contrasti vengono di solito evitati per non rovinare l’atmosfera serena che solitamente caratterizza i primi momenti, col passare del tempo le reciproche differenze di opinione e di comportamento possono portare a conflitti, scatenati anche da episodi banali, ma che comportano una carica emotiva non indifferente, portando alla luce problemi mai affrontati prima che col tempo possono creare insoddisfazioni e frustrazioni incontenibili.
Questo può portare alla fine del rapporto, ma può anche rappresentare un importante salto qualitativo in grado di far maturare la coppia in modo che l’altro sia accettato nella sua individualità e non come mezzo per soddisfare i propri bisogni inconsci.

La comunicazione nella coppia

All’interno di una relazione, se manca uno scambio costruttivo di idee e significati condivisi, una comunicazione efficace, manca uno dei pilastri fondamentali per la sopravvivenza e il proseguimento della relazione stessa.
Uno dei principali motivi per cui le coppie si dividono è proprio la mancanza di comunicazione, intesa come l’incapacità di discutere certi temi e saperli affrontare insieme.

Comunicazione fallimentare e conflittualità nella coppia

All’origine di molte dinamiche conflittuali all’interno della coppia, vi è spesso una comunicazione fallimentare, che quando non è la causa di vere e proprie rotture, crea numerosi contrasti e incomprensioni.
Saper dialogare strategicamente invece, è un modo per migliorare la relazione con gli altri, e soprattutto con la persona che amiamo.

Nella ricerca psicologica (J.M. Gottman, P. Ekman) sono stati evidenziati quattro principali pattern, schemi di comunicazione che generano e alimentano la conflittualità nella coppia:

Criticismo

Attaccare verbalmente la personalità o il carattere del partner, il suo modo di fare, di comportarsi.
“Non lavi mai i piatti quando torni dal lavoro!”, “Sei egoista!”, “Non imparerai mai a parcheggiare bene la macchina!”, “Sei sempre distratta quando ti parlo!”. 
Le parole “sempre”, “mai” sono spesso usate durante una critica e la rendono ancora più pesante. 
 

Difensivismo

Vedersi esclusivamente come una vittima che tenta di difendersi dagli attacchi che percepisce dal partner e rigirargli contro la colpa.
”Non è colpa mia, è colpa tua!” “Ah, io non ho fatto niente, sei tu che pensi male!” e così via.
Questo atteggiamento invece di disinnescare l’esplosivo della litigata, lo fomenta. 
 

Disprezzo

Attaccare l’immagine che il partner ha di sé con l’intenzione di insultarlo o agire una forma di abuso psicologico. E’ molto simile alla critica, ma è ancora più grave: è un tentativo di sminuire l’altro, svalutarlo per quello che è e per quello che fa. Questo atteggiamento può essere espresso anche attraverso il linguaggio del corpo, per esempio, alzando gli occhi al cielo.
 

Asseragliamento

Ritirarsi dalla relazione per evitare il conflitto allo scopo di trasmettere disapprovazione (in modo passivo-aggressivo), distanza e separazione: ignorare l’altro, non rispondere, uscire di casa, alzare il volume della TV, fare una telefonata e così via.

La comunicazione collaborativa

Sono, d’altro canto, stati identificati i seguenti 4 comportamenti positivi antitetici, ossia opposti ai precedenti, in grado di sovvertire l’andamento distruttivo della coppia

Accoglienza

Avviare i confronti in modo rispettoso e gentile con il partner parlando di sé ed esprimendo bisogni positivi. 
È importante imparare a parlare usando i messaggi-IO: “io sento…”, “io provo…”, “io credo…” “io sono…”, ecc. e non iniziare le frasi puntando l’indice contro il partner: “tu pensi/senti/credi/sei…” ecc.
Non possiamo mai essere certi al 100% di cosa prova l’altro, ma possiamo essere certi di cosa proviamo noi e metterlo in gioco, esprimendo il reale bisogno positivo che vi è dietro.
Non formuliamo un’accusa contro il nostro partner ma cerchiamo di spiegargli come ci fanno sentire alcuni suoi comportamenti, invitandolo di trovare insieme una soluzione.
Troviamo una spiegazione molto chiara ed esauriente dell’uso dei messaggi-IO nei libri di Thomas Gordon sulla comunicazione efficace. 
 

Responsabilizzazione

Comprendere e poi assumersi la propria parte di responsabilità, chiedendo scusa per i propri sbagli e cercando di non ripeterli in futuro. 
La responsabilità di tutto quanto avviene in coppia, si divide in parti uguali tra i due partner. Anche nei casi più importanti, quando il comportamento di un partner appare decisamente sbagliato, l’altro è co-partecipe perché gli permette di riprodurre quel comportamento, per esempio assumendo una condotta passivo-aggressiva (asserragliamento).
Come affermava Arthur Bloch: “Se osservi abbastanza attentamente il tuo problema, ti accorgerai di essere parte del problema”. 
 

Riconoscenza

Ricordare le qualità positive dell’altro e ringraziare per ciò che di buono fa. 
Cerchiamo di ricordare ciò che di buono l’altro ha fatto e fa per noi. Portiamo l’attenzione sul piano di realtà e sui dettagli e i gesti che nella quotidianità e nel tempo forse abbiamo iniziato a considerare come gesti dovuti, dati per scontato invece di percepirli come amorevoli attenzioni. 
 

Self-comfort fisiologico

Prendersi momenti di pausa per fare qualcosa di rilassante e distraente. 
Fuggire, alzare il muro, creare un distacco per mandare messaggi impliciti non aiuta a dissolvere le incomprensioni nella coppia. Cerchiamo piuttosto di procurarci dei piccoli momenti per noi con lo scopo di staccare un po’, rigenerarci, far quietare le nostre emozioni, per poi reinvestire le energie positive rigenerate nella nostra vita e nel nostro rapporto di coppia.

comunicazione efficace nella coppia

Il dialogo funzionale

La comunicazione collaborativa è fondamentale per la crescita di una relazione. Spesso le emozioni offuscano il dialogo e creano periodi di contrasto. Poiché, come diceva Ludwig Wittgenstein, “Le parole sono come pallottole”, è importante all’interno della coppia prestare molta attenzione alle forme del comunicare, selezionando ed utilizzando quelle modalità che portano ad un dialogo funzionale.

Problem Solving Strategico e le tecniche di comunicazione positive

Il Problem Solving Strategico propone alcune tecniche comunicative, che possono essere applicate con successo nella risoluzione e prevenzione di dinamiche conflittuali all’interno della coppia:

  • domandare piuttosto che affermare, ossia imparare a costruire delle domande strategicamente orientate, con due alternative di risposta, capaci di creare un clima di collaborazione e sintonia: un’affermazione spesso stimola il desiderio di opporsi, mentre una domanda è sempre un invito a riflettere.
    Per esempio, invece di affermare di aver fatto qualcosa di sbagliato non intenzionalmente, possiamo fare una domanda del genere: “Tu pensi che io abbia commesso gli errori in maniera deliberata, oppure abbia fatto le cose senza rendermene conto?”
     
  • chiedere verifica piuttosto che sentenziare: ripetere parafrasando le risposte del vostro compagno; ciò contribuisce a confermare che quello che credete di aver sentito è ciò che in effetti il vostro compagno intendeva dire, per creare accordo e facilitare il cambiamento costruttivo della situazione problematica. Questo ci permette di dimostrare al partner il nostro interesse verso la sua opinione; parafrasando possiamo enfatizzare la parte della risposta più utile nella ricerca di una soluzione soddisfacente per entrambi.
     
  • evocare piuttosto che spiegare, ovvero saper toccare le corde emotive del nostro interlocutore ancor prima che influenzare le sue capacità cognitive usando una descrizione per immagine, un’analogia o una metafora: è uno strumento persuasivo molto potente.
     
  • agire piuttosto che pensare, ovvero progettare piani concreti di azione da realizzare per ottenere il cambiamento desiderato, cambiare effettivamente invece di spendere il tempo in lunghe discussioni, senza un esito pratico.

L’arte del dialogo non è qualcosa di semplice da apprendere e sono tante le difficoltà che potremmo incontrare lungo la strada, ma attraverso un atteggiamento umile ed un esercizio costante, è possibile superare gli intoppi iniziali e riuscire a migliorare non solo il nostro rapporto di coppia, ma anche noi stessi.

La gestione del dolore con il Training Autogeno

Che cos’è il dolore?

Ognuno di noi ha sicuramente vissuto una sensazione chiamata “dolore” urtando uno spigolo, sentendo mal di testa o mal di pancia, percependo l’indolenzimento dei muscoli dopo un allenamento intenso oppure il lamento delle articolazioni intaccate dall’artrosi, soffrendo di una malattia che si fa sentire attraverso fitte o bruciori in qualche parte del corpo…

L’ Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore come “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno reale o potenziale dei tessuti, e descritta in funzione di tale danno”.
Questa definizione sottolinea che il dolore comprende non solo una componente fisiologica e sensoriale, ma anche una componente psicologica ed esperienziale, che si riferisce allo stato emotivo collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.

Paura, tensione, ansia possono manifestarsi ancora prima di vivere un’esperienza che causa dolore: molte persone si sentono a disagio prima di andare dal dentista o prima di subire un intervento e possono sviluppare aspettative negative delle conseguenze dell’esperienza che dovranno affrontare.
Durante un intervento o un trattamento doloroso, la paura e l’attenzione rivolta alla fonte del dolore percepito creano una tensione a livello muscolare. La tensione contribuisce ad accrescere l’intensità delle sensazioni sgradevoli recepite mentre si vive l’esperienza.

La sofferenza

Quando il dolore ci accompagna per un periodo più o meno lungo oppure si cronicizza, proviamo un sintomo fisico, ma sentiamo anche la sofferenza.
La sofferenza corrisponde al cambiamento che la malattia comporta nella vita personale, lavorativa e di coppia.
Talvolta il dolore costringe a rinunciare a varie attività, a cercare un lavoro differente oppure a rinunciare al lavoro, ad avere bisogno di maggiore aiuto e assistenza nella vita quotidiana. È un’interferenza importante sullo stile di vita e sulla distribuzione di compiti nella coppia. Tali cambiamenti possono causare reazioni emotive e sconvolgere l’equilibrio della persona, della coppia, della famiglia.

Gli effetti del dolore

Mente e corpo si influenzano reciprocamente: il dolore che proviamo ci procura stress continuo; la tensione “mentale”, a sua volta, porta i muscoli del corpo a contrarsi ulteriormente, aumentando il dolore.

Le emozioni come la rabbia, la frustrazione e la paura, se non espresse, rimangono ingabbiate nel corpo sotto forma di tensioni muscolari e la tensione fa aumentare l’intensità del dolore percepito.

Tali effetti possono essere combattuti, e a volte anche evitati, tramite l’allenamento ad alcune tecniche mente-corpo, ad esempio lo Yoga, la meditazione e il Training Autogeno.

Come agisce il Training Autogeno sulla percezione del dolore

Il Training Autogeno è una tecnica in grado di modificare il sistema nervoso autonomo, attivando il sistema parasimpatico, coinvolto negli stati di riposo, e generando una sensazione di calma e rilassamento che diventa “autogena”, automatica per il corpo, e che può essere quindi utilizzata in tutte le situazioni di tensione, paura e anche dolore.

La sensazione dolorifica produce alcune alterazioni nel funzionamento del corpo:

  • Aumento del battito cardiaco
  • Aumento della frequenza respiratoria
  • Aumento del tono muscolare.

Uno dei principali effetti del Training Autogeno è proprio quello di arrivare alla distensione muscolare e normalizzare il funzionamento del sistema cardio-vascolare e respiratorio.

Gli esercizi dunque, agiscono innanzitutto sul rilassamento profondo di tutti i muscoli e sulla regolarizzazione del battito cardiaco e del ritmo della respirazione.
Il Training Autogeno non mira a eliminare la fonte di dolore ma, grazie alla pratica del metodo, è possibile ridurre l’intensità dell’esperienza dolorosa, rendendola più tollerabile.

La componente psicologica ed esperienziale del TA

Il Training Autogeno svolge un’azione diretta sulla componente affettiva.
Ogni reazione emotiva si sviluppa attraverso delle alterazioni funzionali. Con il Training Autogeno tutto l’organismo si pone in situazione di riposo, favorendo un maggiore equilibrio fisico.
Si ottiene lo smorzamento della risonanza emotiva con un atteggiamento mentale più sereno. Dato che paura e ansia sono in grado di intensificare e riacutizzare la percezione dolorifica, riducendo tali vissuti emotivi, grazie all’allenamento costante, è possibile ridurre ulteriormente l’esperienza dolorosa.

Durante l’allenamento del TA avviene l’autoinduzione della calma, per rappresentazione psichica della formula e per una capacità sempre maggiore dell’organismo ad entrare in uno stato di distensione.
L’auto-sedazione permette di cogliere i problemi nella loro reale dimensione e di ridurli alle loro reali proporzioni.
Questo effetto risulta molto utile nella gestione dei cambiamenti che il dolore richiede di apportare nella vita quotidiana, permettendo di accettare con maggiore serenità i limiti dettati dal dolore, prendere delle decisioni più ponderate e risolvere in maniera più efficace situazioni conflittuali.

Perle di Salute – Ascolta il dolore

Come scrive B.H. Hoffmann nel suo Manuale di Training Autogeno:
“In nessun caso il dolore deve essere interpretato come un disagio da eliminare a ogni costo. (…) Il dolore è un segnale biologico: se qualcosa ci fa male, sappiamo che in quel punto qualcosa non funziona.” 

Bisogna ascoltare questo segnale e parlarne al proprio medico per cercare di capirne la causa, senza tentare di arrestare tutti i dolori, di qualsiasi origine siano.
Sappiamo quanto è importante per la medicina diagnosticare il prima possibile l’insorgere di un eventuale problema di salute per assicurare una maggiore efficacia delle cure. Una volta chiarita la causa, possiamo intervenire sul dolore anche con il Training Autogeno, per diminuire notevolmente la nostra sofferenza. E’ importante riuscire a fronteggiarla, affinché essa non vada ad intaccare il nostro benessere psico-fisico.

Tecniche di Problem Solving nella vita di coppia

“Un rapporto di coppia è come un giardino,
per crescere rigoglioso deve essere annaffiato regolarmente.”
(John Gray)

Due “io” creano un “noi”

Nella vita di una coppia, così come generalmente nella vita di ognuno di noi, è del tutto normale attraversare momenti di difficoltà e dover affrontare problemi.

Una coppia unisce due persone, e ciascuno dei due ha un suo bagaglio di esperienze, un suo mondo di idee e opinioni, un suo punto di vista su come dovrebbe funzionare una coppia.
Due “io” distinti cercano di creare un “noi” unito, e la costruzione di un “noi” che funzioni richiede a entrambi i partner uno sforzo di adattamento, una mente flessibile e la capacità di accettare e gestire le differenze.

La crisi di coppia

Sovente, dopo una prima fase di innamoramento idilliaco prende inizio una fase in cui l’armonia iniziale comincia a vacillare e, se non si riesce a mantenere il rapporto in  equilibrio, i due partner possono sentirsi delusi dalla relazione di coppia, iniziano a discutere e spesso a litigare, arrivando a volte a una vera e propria crisi di coppia.

Si parla di crisi di coppia quando i partner vivono un malessere che dura nel tempo e, nonostante il desiderio di cambiamento, i tentativi di risolvere i problemi non danno esito positivo.

I motivi che portano alla trasformazione della coppia amorosa in un duo rabbioso, frustrato, triste, freddo e distaccato sono infiniti.
Facciamone qualche esempio:

  • Difficoltà di comunicare
  • Emozioni negative (rabbia, noia, senso di solitudine)
  • Gelosia eccessiva
  • Tradimento
  • Comportamenti aggressivi o violenti
  • Problemi di natura materiale, economici, di logistica
  • Difficoltà nella sfera sessuale
  • Diminuzione o assenza di sentimenti d’amore
  • Interferenza delle famiglie d’origine/parenti/amici/conoscenti
  • Traumi da gestire (lutto, malattie, catastrofi, trasferimenti improvvisi, perdita di lavoro…)

Spesso la miccia che crea il vacillamento può essere accesa da alcuni cambiamenti nella vita di coppia, come un nuovo inizio di lavoro, una nuova casa, la nascita di un figlio ecc.
Anche questi eventi naturali possono generare delle modifiche emotive, cognitive e comportamentali nel singolo, che creano delle difficoltà di coppia.

Il tema della colpa

I due partner purtroppo si trovano spesso a confliggere sul tema di chi è la colpa del problema apparso nella loro relazione piuttosto che capire quali sono i loro ruoli nell’assumersi la responsabilità della soluzione del problema stesso e lavorare in modo coordinato, come una squadra, verso la soluzione. Arrivando a trattare l’altro come nemico o colpevole da annientare, si arriva inevitabilmente a rendere la crisi di coppia sempre più devastante.

Il Problem Solving strategico: un aiuto nelle coppie in crisi

Per aiutare a risolvere problemi in cui si imbatte una coppia nel suo percorso di vita insieme, diventa molto utile il Problem Solving strategico.

Il problem solving strategico è una tecnica orientata a individuare le soluzioni anche ai problemi più complessi e difficili grazie all’utilizzo di stratagemmi che consentono di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.

Primo passo del problem solving strategico: definire il problema

È una fase di fondamentale importanza, in quanto senza una definizione adeguata del problema è impossibile proseguire efficacemente alla sua soluzione.
Albert Einstein diceva “Se avessi solamente un’ora per salvare il mondo, passerei 55 minuti a definire bene il problema e solo 5 a trovare la soluzione”.
Il problema deve essere definito in termini descrittivi e concreti: bisogna investire il tempo adeguato nell’analisi di che cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove esso si verifica, quando appare, come funziona.

Secondo passo del problem solving strategico: definire l’obiettivo

Una volta definito il problema, si cerca di descrivere quali sarebbero i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, farebbero affermare che esso è stato risolto. Ovvero, definire l’obiettivo da raggiungere in maniera dettagliata e concreta.
Come diceva Seneca: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Terzo passo del problem solving strategico: valutare le tentate soluzioni

In questa fase vengono presi in considerazione tutti i tentativi che sono stati fatti per risolvere il problema o per raggiungere l’obiettivo e gli effetti che questi hanno prodotto.
Questo processo serve ad individuare i tentativi fallimentari, affinché non vengano ripetuti.
Il fatto che il problema continui a esistere, e anche ad aggravarsi, significa che gli sforzi intrapresi fino ad allora sono stati inefficaci e controproducenti. Tuttavia, è possibile individuare anche tentativi che hanno avuto successo, e in questo caso è importante valutare se queste strategie possono essere riproposte nella situazione presente, anche con degli adattamenti.
Nella maggioranza dei casi, però, ciò che ha funzionato in passato fallisce nel presente perché in tempi diversi è necessario fare tentativi differenti.

La tecnica del “come peggiorare”

La tecnica del “come peggiorare” facilita l’analisi delle tentate soluzioni disfunzionali, permettendo di identificare anche tutte quelle soluzioni che potrebbero essere messe in atto in futuro e rivelarsi fallimentari.

Per ottenere ciò bisogna farsi la domanda: “Se volessi far peggiorare ulteriormente la situazione invece di migliorarla, come potrei fare?
Mentre cerchiamo le risposte a questa domanda, la mente crea una spontanea reazione avversiva, uno spontaneo evitamento verso i comportamenti peggiorativi. Inoltre, solitamente, più si spinge la mente in quella direzione, più vengono in mente soluzioni alternative.

La “tecnica dello scenario oltre il problema”

La tecnica dello scenario oltre il problema permette di definire tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
E’ un modo per rilevare concretamente le caratteristiche della “realtà ideale”, dell’obiettivo da raggiungere, ci permette di identificare i piccoli atti da compiere per superare il problema, promuovendo lo spostamento dell’attenzione del soggetto “dal presente problematico” al “futuro senza problema”.

Mettere in atto piccoli cambiamenti concreti

Ogni obiettivo da raggiungere può essere scomposto in tanti piccoli obiettivi più circoscritti ed è possibile, quindi, tracciare il percorso che sarà necessario seguire per poter arrivare alla destinazione tanto desiderata.
E’ indispensabile aggiustare il tiro progressivamente nel processo di problem solving, verificando sistematicamente l’effetto dei cambiamenti intrapresi.

I problemi di coppia sono più frequenti di quello che si pensa, anche se le persone non ne parlano volentieri pubblicamente. Ma i problemi di coppia possono essere superati e risolti!
Il punto è saper affrontare la crisi e trovare, se possibile, un nuovo equilibrio e nuovi punti di incontro.

Perle di salute – Il passato ha due facce

Nel libro “I dieci comandamenti della coppia” Camillo Loriedo, coautore, parlando di litigi in coppia consiglia:
Concentratevi sul presente, non sul passato. Non è possibile cambiare le passate esperienze. I problemi del passato talvolta stimolano il risentimento e di solito ciascun partner li ricorda in maniera diversa. Quando non si riesce a farne a meno, si finisce per generare un litigio che ha due facce e nessuna fine.

“La vita si comprende andando all’indietro, ma si vive andando in avanti” (S. Kierkegaard)

La gestione delle emozioni con il Training Autogeno

Le emozioni: cosa sono

Le emozioni costituiscono un aspetto importante dell’esistenza umana, ognuno ci vive e ci convive eppure, come avevano ironicamente fatto notare negli anni ’80 due psicologi, B. Fehr e A. Russell:

“Tutti sanno cos’è un’emozione finché non si chiede loro di definirla”.

Il mondo accademico e scientifico ha sempre dedicato, e continua a dedicare, un’attenzione importante allo studio di emozioni e le considera come qualcosa di universale, caratteristico a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla cultura di appartenenza.

Lo psicologo statunitense Paul Ekman, famoso per le sue ricerche di fenomeni emotivi, definisce l’emozione in questo modo:

“Un’emozione è un processo di valutazione automatica, influenzata dal nostro passato evolutivo e personale, durante il quale sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro benessere, mentre una serie di cambiamenti psicologici e di comportamenti emotivi comincia a interagire con la situazione”.

Un’emozione è una reazione spontanea, fisiologica, generata da una serie di risposte neuronali, cioè si attiva nel corpo senza l’intervento della nostra volontà cosciente.
Qualsiasi stato emotivo tende a produrre modificazioni a livello neurovegetativo e muscolare e, quindi, a livello funzionale di svariati organi.

Quante emozioni possiamo provare e a cosa servono

Secondo Paul Ekman le emozioni universali (primarie)  sono cinque:

  1. Paura
  2. Rabbia
  3. Disgusto
  4. Tristezza
  5. Gioia

Ogni emozione primaria ha una determinata funzione evolutiva, che risiede nella conservazione del nostro benessere psico-fisico.

Le emozioni svolgono un ruolo molto importante per l’adattamento ai cambiamenti ambientali e, in tutta la storia dell’umanità, sono state determinanti per la sopravvivenza e per l’evoluzione della nostra specie.

Le emozioni sono forze motivanti che ci preparano all’azione: per esempio, in situazioni che inducono paura, preparano il corpo a fuggire o a rimanere e combattere.

Le persone presenti sono in grado di cogliere, o almeno di indovinare, le nostre emozioni dal nostro aspetto e dal nostro comportamento: capiscono quando abbiamo paura vedendoci impallidire, tremare o indietreggiare.
Senza la paura, che ci rende vigili, all’erta, non saremmo sopravvissuti ai pericoli.
Senza la rabbia, che ci permette di raggiungere i nostri obiettivi, non avremmo saputo combattere per difenderci.

La reazione emotiva, non sempre positiva

La reazione emotiva può essere utile ed adattiva in determinate situazioni, ma quando è troppo intensa e soprattutto protratta nel tempo può trasformarsi in disagio.
Pensiamo, per esempio, a uno studente bloccato nel suo percorso universitario dalla paura di non superare un esame. In questo caso, solo immaginare l’evento stressante, percepito come una “minaccia”, attiva in lui automaticamente una “risposta attacco o fuga” che provoca dei cambiamenti psico-fisici significativi (irregolarità del battito cardiaco, sbalzi pressori, aumento o diminuzione di ormoni nel sangue).
Tale attivazione, se duratura ed intensa, lo rende più vulnerabile, privo di energia, condiziona negativamente la sua quotidianità.
Se il nostro studente non riuscirà a fare i conti con la sua paura, questo stato di sofferenza rischierà di persistere, aggravandosi sempre di più.

Gli effetti indesiderati delle emozioni

Gli stati emotivi conducono a tensioni nella muscolatura scheletrica, viscerale e vascolare.
Cercando di reprimere le nostre emozioni, e non riuscendo ad affrontare con successo situazioni difficili, tendiamo ad accumulare tali tensioni e a non scaricarle.
Nel caso di situazioni stressanti, mal gestite, l’accumulo di tensioni può portare ad alcuni effetti sgradevoli:

  • Costante stanchezza
  • Facile irritabilità
  • Insonnia
  • Disturbi digestivi (per esempio gastrite, ulcera, colite)
  • Tachicardia
  • Mal di testa
  • Pressione alta
  • Lombalgia
  • Indebolimento del sistema immunitario

A questo punto risulta evidente l’utilità di apprendere modalità per fronteggiare le situazioni stressanti e trovare metodi di gestione della sfera emotiva più efficaci.

Il Training Autogeno per gestire le nostre emozioni

Il Training Autogeno è un ottimo alleato nella gestione efficace e funzionale degli stati emotivi.
In questo contesto, il suo effetto è basato sul fatto che l’emotività e certe funzioni organiche sono strettamente collegate: rappresentano la globalità psicofisica.
Di conseguenza la distensione dei vari muscoli, seguita dalla sedazione dell’attività cardiaca, della respirazione e dell’attività digestiva, provoca un’induzione di calma. J.H. Schultz chiamava questo effetto “lo smorzamento delle risonanze affettive”.

In questo modo, influenzando i processi psicofisiologici nel corpo, il Training Autogeno agisce su 3 livelli:

  1. Livello fisiologico
    Aiuta a riequilibrare le funzioni vitali in generale, ponendo particolare attenzione al Sistema Nervoso Autonomo, che gestisce le risposte fisiologiche alle emozioni, e al Sistema Endocrino, che regola tutte le funzioni ormonali.
  2. Livello fisico
    Agisce sull’intero corpo e, se praticato costantemente, aiuta a mantenere o ripristinare la salute e il benessere, affrontando stress e patologie fisiche.
  3. Livello psicologico
    Aiuta a raggiungere un maggiore controllo ed una migliore gestione dello stress e delle reazioni emotive.

Nella distensione ottenuta con l’esercizio di TA, gli stati emotivi sono meno intensi, le reazioni agli eventi esterni più tranquille, l’intelletto e la ragione non più sopraffatti da essi.

Il Training Autogeno può essere utilizzato con diversi obiettivi per sedare gli stress emozionali:

  • come metodo di “emergenza”, per padroneggiare momenti di tensione eccessiva e improvvisa
  • come metodo preventivo, da praticare regolarmente per mantenere uno stato di calma di base e in previsione di momenti particolarmente stressanti
  • come metodo di crescita personale: il rilassamento psicofisico raggiunto con il Training Autogeno Inferiore è solo il primo step e può proseguire con gli esercizi del livello superiore, per lavorare con le immagini mentali suggerite dall’inconscio, per approfondire la conoscenza di sé

Grazie all’allenamento costante, il Training Autogeno diventa un ottimo strumento per far fronte ai danni psico-fisici provocati da periodi stressanti prolungati e si conferma molto utile per gestire con efficacia gli stati emotivi.

“Le persone competenti sul piano emozionale, quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente, si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita.” 
D. Goleman

Perle di Salute: usiamo la scrittura

Se non abbiamo ancora imparato a fare il Training Autogeno, possiamo ricorrere ad altri metodi per aiutarci a gestire gli stati emotivi forti e per avere le idee più chiare a proposito delle situazioni che ci mettono in difficoltà. Uno di questi è la tecnica del mettere nero su bianco i propri vissuti, pensieri, preoccupazioni.
E’ un’ottima valvola di sfogo e ci permette di esternare ansie, paure, tristezza, dolore e rabbia; ne fa calare l’intensità in modo tale che poi, in seguito con una mente più obiettiva, si può riconsiderare la situazione.

Funziona meglio se scriviamo a mano, usando carta e penna.
Scrivendo, superiamo l’inibizione e ciò che ci blocca. Iniziamo a vedere con più lucidità la nostra realtà. In qualche modo, ne prendiamo le distanze per un certo tempo e riusciamo a comprendere tutto con maggiore chiarezza.

Scopri, con un professionista, quale metodo ti aiuta a recuperare più velocemente e quali tecniche di rilassamento sono più efficaci nel tuo caso!