Training Autogeno e Sport

Ormai tutti sappiamo che mente e corpo non sono due realtà distinte: non solo si influenzano a vicenda in modo costante, ma costituiscono due facce della stessa medaglia, l’essere umano.

Il Training Autogeno in breve

Il Training Autogeno (TA) è una tecnica di auto-distensione elaborata dal medico tedesco Johannes Heinrich Schultz nella prima metà del secolo scorso che consiste nell’apprendimento graduale, sotto la supervisione di un operatore/trainer con adeguata preparazione, di una serie di esercizi (quelli di base sono in tutto sei) che generano apprezzabili benefici psicofisiologici.

Applicazioni del Training Autogeno

Il TA è applicabile in molti settori della vita quotidiana come il lavoro, lo studio, le relazioni, l’equilibrio sonno-veglia.
In generale, il Training Autogeno:

  • aumenta un benessere psico-fisico globale
  • migliora l’efficacia nella concentrazione
  • è utilizzato durante la gravidanza per prepararsi al parto
  • è utilizzato nell’ambito dello sport per migliorare la performance.

La volontà, la perseveranza, la resilienza e la capacità di controllare le proprie emozioni sono parte integrante della riuscita nel mondo dello sport, sia agonistico che amatoriale.

Il TA nello Sport

La pratica del Training Autogeno si è rivelata un aiuto eccellente per sostenere la prestazione psicofisica e per aiutare lo sportivo a sviluppare fiducia in sé stesso, migliorando tanto la performance esterna quanto il vissuto interiore associato ad essa.
Il TA è in grado di apportare molteplici benefici, sia al singolo atleta che alla squadra. I più importanti:

  • Il TA può essere usato come “pausa profilattica” tra un tempo e l’altro della gara oppure al termine della prestazione, per favorire il recupero delle energie psicofisiche.
  • Il Training Autogeno permette un miglior recupero dagli allenamenti e migliora la qualità del riposo notturno.
  • Il TA aiuta a scaricare la tensione e l’emotività e ad acquisire un maggior controllo su fattori emotivi (ansia, insicurezza, paura) che possono interferire negativamente con il buon esito di una prestazione sportiva; rappresenta quindi un valido aiuto contro la cosiddetta ansia da prestazione, come testimoniato da alcuni studi condotti a riguardo.
  • Il TA favorisce il rilassamento muscolare, riducendo così il rischio di contratture e di infortuni e rappresentando un importante ausilio nella riabilitazione degli infortuni.
  • Attraverso l’uso di opportuni proponimenti, attraverso il TA è possibile aiutare l’atleta ad aumentare la sicurezza in sé stesso e la convinzione di riuscire a ottenere buoni risultati.
  • Praticato prima di una gara, il TA favorisce una maggiore concentrazione durante la gara stessa.
  • Il TA migliora la concentrazione per il gesto tecnico imparando a stare nel “qui ed ora”.
  • Il TA favorisce un miglioramento del “clima di squadra”: maggiore armonia, superamento di rivalità e antagonismo e aumento del senso di appartenenza e di coesione.

L’introduzione del TA nello sport: qualche esperienza illustre

L’affermazione del TA nello sport è avvenuta in maniera graduale, a partire dai resoconti di alcuni atleti che si sono avvicinati all’allenamento autogeno per motivi personali.  Tra i tanti benefici, riferivano anche migliori prestazioni sportive, maggiore resistenza fisica e più rapido recupero delle energie.
Alla luce di queste constatazioni, molti allenatori della Federazione nazionale tedesca inserirono nei loro schemi di allenamento proprio il TA: il risultato fu che raggiunsero un notevole successo durante i giochi olimpici negli anni ’40 e ’50.

G. Naruse

Un primo studio scientifico sull’utilizzo del TA nelle discipline sportive è quello di G. Naruse: la ricerca intrapresa nel corso del 1960 presso l’Istituto di Tecnologia di Kyūshū (Giappone), ha dimostrato la validità della tecnica e la sua efficacia nella psicologia dello sport.
Il ricercatore osservò un gruppo di 125 sportivi giapponesi, tornati dalle Olimpiadi del 1960 a Roma, notando che quasi tutti gli atleti avevano sperimentato ansia da prestazione e disturbi correlati allo stress, sia prima che dopo le gare. Naruse sperimentò su 56 atleti un programma di allenamento che comprendeva il TA, che consentì di ottenere ottimi risultati riguardo alla paura di esibirsi in pubblico e la capacità di mantenere costante il livello delle performance.
In seguito il TA venne inserito come tecnica standard da applicare prima, durante e dopo le gare.

Hannes Lindemann

Fu davvero sorprendente l’esperienza di Hannes Lindemann, medico e atleta di alto livello, autore del libro “Training Autogeno. Il più diffuso metodo di rilassamento”: nel 1956 attraversò da solo l’Atlantico in 72 giorni, con un comune kayak pieghevole.
Lindemann attribuì al TA il successo di questa avventura, che prima di lui altre 100 persone hanno pagato con la vita.

Piero Gros

In Italia, la prima applicazione del Training Autogeno in ambito sportivo risale ai campionati mondiali di sci di St. Moritz del ‘73. Mario Cotelli, responsabile della Valanga Azzurra, in tale occasione contattò il Prof. L. Peresson per aiutare Pierino Gros. L’atleta dello sci azzurro, prima di ogni discesa veniva preso dall’ansia e dall’emotività, che gli impedivano di poter esprimere le sue doti di grande slalomista. Con l’utilizzo del Training Autogeno, in breve tempo l’atleta superò completamente l’ansia, gli ostacoli emotivi e l’insonnia per le tensioni prima della gara e diventò campione del mondo.

Oggi, il Training Autogeno è utilizzato con successo nella preparazione di atleti di varie discipline sportive: nuoto, sci, calcio, tennis, pentathlon… e potremmo continuare ancora questo elenco.

Grazie a questo ottimo metodo di rilassamento e auto-condizionamento, attraverso la costanza, la perseveranza e l’esercizio continuo si riescono ad ottenere miglioramenti psico-fisici tanto desiderati dagli sportivi.

Perle di Salute: cosa significa “recupero muscolare”?

Significa che il tuo corpo è in grado di recuperare dopo una gara o una sessione di allenamento.
Lo sviluppo muscolare del tuo corpo e il miglioramento delle prestazioni fisiche dipendono dalla qualità e dalla velocità con cui riesci a raggiungere il recupero muscolare completo. Con il giusto recupero, il corpo è molto più resiliente e meno soggetto a possibili infortuni.
C’è una connessione diretta tra corpo e mente: i nostri pensieri e stati emotivi influenzano le nostre reazioni corporee. Questa legge naturale è alla base di tutte le forme di rilassamento attivo, incluso il training autogeno, il rilassamento muscolare progressivo, la meditazione, lo yoga e molte altre discipline.
È stato dimostrato che un programma di rilassamento della durata di 10 minuti riduce la tensione e la concentrazione di acido lattico nei muscoli.

Scopri, con un professionista, quale metodo ti aiuta a recuperare più velocemente e quali tecniche di rilassamento sono più efficaci nel tuo caso!


Cos'è il Training Autogeno: la tecnica di rilassamento più famosa al mondo

Donna si rilassa con esercizi di training autogeno

Mente e corpo non sono due realtà distinte. Non solo si influenzano a vicenda in modo costante, ma costituiscono due facce della stessa medaglia, l’essere umano.

La pratica del Training Autogeno, tecnica di auto-distensione molto usata contro ansia e stress, si basa proprio sul coinvolgimento dell’unità mente-corpo. Con i suoi numerosi utilizzi possibili costituisce uno strumento attuale ed efficace per incrementare lo stato di benessere della persona. 

Cos’è il Training Autogeno e le sue radici storiche

Il Training Autogeno è un metodo pratico che ognuno può apprende e utilizzare anche autonomamente, caratterizzato da un protocollo specifico e graduale che consente di riprodurre delle reali modifiche fisiologiche e psicologiche andando ad agire sul sistema neurovegetativo e sulla consapevolezza del proprio corpo.

Johannes Heinrich Schultz, medico psichiatra di origine berlinese, esperto in ipnosi e psicoanalisi freudiana, si è dedicato alla creazione di questa metodologia sistematica a partire dagli anni venti.

Il 1932 è l’anno della nascita ufficiale del Training Autogeno, tecnica presentata nella monografia “Das Autogene Training”, in cui sono stati raccolti i risultati di molti anni di studi condotti da Schultz.  Nelle sue ricerche Schultz comprende che i processi mentali possono provocare non solo modificazioni patologiche dell’organismo (es. malattie psicosomatiche), ma anche modificazioni positive che sono in grado di riportare armonia in funzioni organiche e psicologiche alterate. L’invenzione di Schultz ha come obiettivo quello di trasformare e integrare le parti disturbate del soggetto; secondo Schultz esiste un piano di vita più sano, chiamato bionomico, per lo sviluppo della propria individualità in armonia con le leggi della vita; il Training Autogeno aiuta a percorrerlo.

Dal 1932 questo allenamento psicofisiologico ha avuto un crescente successo, tanto da divenire una delle tecniche più conosciute e diffuse in tutto il mondo. La sua applicazione registra numerosi benefici in vari ambiti: sportivo, lavorativo, medico, psicoterapeutico, psicopedagogico, artistico, individuale. 

I principi e la pratica del Training Autogeno

Il termine “Training” significa letteralmente “allenamento” e “Autogeno” vuol dire “che si genera da sé”.
L’allenamento del Training Autogeno ha qualcosa di speciale, nel senso che i comportamenti risultanti non sono “appresi”, così come ad esempio si impara a giocare a pallone, ma sono comportamenti “autogenerati” ai quali la persona in un certo senso assiste man mano che, con costanza, migliora il suo grado di allenamento.

Dunque, se nell’esperienza quotidiana ci si allena a fare qualcosa, nel Training Autogeno, invece, in un certo senso ci si allena a non fare. Una caratteristica importante del Training Autogeno è la ripetizione sistematica, l’esercizio costante, l’allenamento degli esercizi che lo compongono.

Secondo Schultz, solo attraverso la ripetizione costante degli esercizi di concentrazione passiva è possibile ottenere sempre più consolidate risposte di distensione e calma, andando a influenzare determinate regioni remote del corpo apparentemente inarrivabili, che diventano accessibili solo grazie all’allenamento.

A cosa serve il Training Autogeno: i Benefici

Donna al lavoro calma ansia e stress con esercizi di training autogenoIl Training autogeno ci aiuta a ritrovare la forza in noi stessi e la distensione psicosomatica che l’accompagna. È una valida terapia contro nervosismo, stress, insonnia, stati di esaurimento, alcool, fumo e altro ancora. Ci aiuta a conoscerci intimamente attraverso la possibilità di affrontare le personali problematiche psicofisiche per sfruttare così le proprie potenzialità e ritrovare la giusta qualità di vita. 

Benefici fisici

  • L’autoinduzione alla calma, raggiungibile in pochi secondi
  • L’abbassamento dello stato d’ansia generalizzato
  • Il superamento dei momenti di stanchezza durante la giornata
  • La diminuzione e soppressione delle sensazioni di dolore
  • La soluzione dei disturbi del sonno quali l’insonnia
  • La normalizzazione di alcune funzioni organiche quali la digestione, la pressione arteriosa

Benefici psicologici

  • Il miglioramento della capacità di autocontrollo emotivo di fronte a eventi stressanti
  • Il potenziamento delle funzioni mentali quali la memoria, l’introspezione, l’autocoscienza
  • Il miglioramento delle prestazioni sportive, nello studio e al lavoro

Possibili Controindicazioni

Il Training Autogeno è un metodo di comprovata efficacia, adatto alla maggior parte delle persone, di tutte le età, dai bambini, alle gestanti fino agli anziani.

Ci sono tuttavia dei casi importanti in cui è controindicato. Si parla di:

  • situazioni psicopatologiche, quali gravi forme del disturbo ossessivo-compulsivo, grave ipocondria, grave depressione, psicosi
  • patologie organiche, minaccia di infarto o infarti recenti,  insufficienza cardiaca e scompenso cardiaco, gravi crisi ipotensive, diabete grave.

Le controindicazioni indicate devono essere sempre valutate nei singoli casi e nella grande variabilità che contraddistingue i diversi soggetti.

Curiosità

In molte culture e filosofie orientali (ad esempio il buddismo, l’induismo…) troviamo diversi aspetti che sono anche ripresi nel Training Autogeno:  i Mantra, la concentrazione e la meditazione profonda , il concetto di allenamento della mente e del corpo attraverso la disciplina.

Anche alcune culture tribali, del continente africano e sud americano, mostrano attinenze per cui in alcuni riti viene ricercato il distacco dal pensiero concreto.

Imparare il Training Autogeno è un investimento sul proprio Benessere, non perderà mai valore e darà frutti nel corso della nostra intera esistenza.

 

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La psicosomatica: il corpo che parla

La psicosomatica: che cosa è?

La psicosomatica è la disciplina che studia la malattia in termini di multifattorialità e complessità: nella malattia (come nella salute) entrano in gioco sempre diversi fattori biomedici e psicosociali che, a seconda delle caratteristiche uniche della persona (tratti di personalità e comportamenti), hanno influenze e pesi differenti.
Secondo questa visione, la malattia è una condizione che riguarda sia il corpo (Soma) che la mente (Psiche) intesi come unità inscindibile.

I disturbi piscosomatici

I disturbi psicosomatici coinvolgono il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress.
Il malessere non è solo una manifestazione fisiologica della malattia, ha anche un aspetto emotivo che l’accompagna.

Chi soffre di malattie psicosomatiche prova dolore, nausea o altri sintomi fisici, senza però una causa fisiologica che possa essere diagnosticata.
Le malattie psicosomatiche sono proprio quei disturbi che prendono vita non dal fisico, ma dalla mente, sollecitata dallo stress, dall’ansia e da qualunque disagio psicologico.
Il corpo diventa il perfetto strumento di comunicazione di uno stato di sofferenza mentale o di disagio psichico.

La somatizzazione

Pensieri, emozioni ed esperienze hanno sempre un correlato biologico nell’uomo.
La somatizzazione è il processo alla base del disturbo psicosomatico. Infatti, con tale termine si intende il meccanismo che permette di trasformare i processi psichici in somatici, coinvolgendo il sistema endocrino ed immunitario.

Il ruolo del cortisolo e dello stress

All’origine dei disturbi psicosomatici c’è un meccanismo biologico particolare, legato all’azione del cortisolo, ovvero dell’ormone rilasciato in situazioni di forte stress e paura.
La sua funzione adattiva, sin dalla preistoria, è quella di mettere in allerta il corpo, mantenendo vigile il cervello, facendo in modo che il cuore invii più sangue in circolo e facendo aumentare la pressione, così da avere una buona ossigenazione del cervello e dei muscoli qualora sia necessario scappare.
Il problema è che noi abbiamo un cervello programmato per reagire a stress contingenti acuti, ma non abituato a gestire stress cronici.
In altre parole, il rilascio continuo di cortisolo finisce per usurare gli organi e per determinare disturbi di vario tipo.
Se pensiamo infatti ai meccanismi innescati dal rilascio di questo ormone è facile immaginare che esito possano avere alla lunga: la contrazione muscolare prolungata può dare origine a dolori e cefalee muscolo-tensive, ma anche a una riduzione della forza e a stanchezza cronica.
Immaginiamo, ad esempio, una situazione tipica in cui potrebbe verificarsi un disturbo psicosomatico: una rabbia non espressa, inibita, potrebbe essere gestita canalizzandola sul corpo attraverso un meccanismo di somatizzazione, producendo in questo modo un sintomo organico come il mal di testa ricorrente.

Le malattie psicosomatiche più comuni

I disturbi psicosomatici si possono presentare praticamente a carico di tutti gli organi e apparati del corpo umano.
Si può sospettare l’esistenza di un disturbo psicosomatico quando i fattori psicologici e gli stili comportamentali hanno un peso importante in rapporto alla condizione clinica.

I disturbi psicosomatici possono coinvolgere:

  • l’apparato gastrointestinale: gastrite, colite ulcerosa, ulcera peptica, colon irritabile
  • l’apparato cardiocircolatorio: tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa
  • l’apparato respiratorio: asma bronchiale
  • l’apparato urogenitale: dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi
  • la cute: la psoriasi, l’acne, la dermatite atopica, il prurito, l’orticaria, la secchezza delle mucose, la sudorazione
  • il sistema muscolo-scheletrico: cefalea tensiva, crampi muscolari, torcicollo, mialgia e fibromialgia.

Il processo di consapevolezza: prevenire e curare

All’origine dei disturbi psicosomatici troviamo la mancanza di consapevolezza di quelli che sono gli stati d’animo negativi da cui scaturiscono i sintomi.
La persona che somatizza è più concentrata sul proprio corpo che sul proprio stato emotivo.

Il processo di consapevolezza, invece, permetterebbe al cervello di rendersi conto di quanto sta accadendo e di mettere in circolo delle sostanze benefiche che generano sensazioni ed emozioni positive.
Acquisire consapevolezza di quanto stiamo provando è dunque la chiave di volta per arginare i sintomi.
Prestare attenzione al dialogo interno, ovvero a quell’insieme di considerazioni, affermazioni e giudizi che ognuno di noi rivolge a sé stesso.

Spesso le somatizzazioni e l’ansia hanno origine proprio dai pensieri negativi che rivolgiamo a noi stessi: modificare questo approccio è dunque importantissimo.
L’obiettivo deve essere quello di diventare degli auto-motivatori, sostituendo i pensieri e i giudizi negativi con affermazioni positive.

Le tecniche di rilassamento per curare i disturbi psicosomatici

Sono molti i tipi di cura che suggerisce la psicosomatica, ma tutti sono accomunati dall’individuare nel difettoso equilibrio mente-corpo l’origine della malattia. Ne consegue che tutte le tecniche di cura sono tese al miglioramento di tale equilibrio.

A questo punto è indispensabile una precisazione: se siamo afflitti da una malattia (soprattutto se a un livello avanzato) è necessario seguire le indicazioni della Medicina. Non riconoscerne le potenzialità e la valenza per la propria sopravvivenza significherebbe commettere un grave errore di presunzione e una negazione della gravità della propria situazione.

Una volta stabilito che si tratta di sintomi psicosomatici, per tornare a stare bene è possibile intervenire con diverse tecniche, finalizzate a rilassare il corpo, liberare la mente dai pensieri negativi e persino ridurre il dolore.

Le persone che somatizzano tendono a focalizzarsi sul sintomo doloroso. Imparare le tecniche di rilassamento può essere utile per tornare a percepire il corpo come una fonte di benessere e non come una fonte di sofferenza.

Per gestire i disturbi psicosomatici anche le tecniche di rilassamento mentale come meditazione, Training Autogeno e tecniche di Grounding mentale possono fare la differenza.
Lo scopo deve essere quello di interrompere i pensieri stressanti che danno origine alle manifestazioni somatiche.

Perle di salute – La Terapia della Risata

Chi soffre di stress, o si sente un po’ depresso, può avventurarsi e sottoporsi alla Terapia della risata: non ci sono effetti collaterali e neppure controindicazioni!
La risata ha un potente effetto anti-stress perché aiuta a liberarci dagli atteggiamenti mentali chiusi, razionali e statici.
Non solo, la risata riduce i livelli di sostanze come il cortisolo, che vengono liberate in caso di stress, e stimola la produzione di endorfine, con un effetto benefico sul nostro corpo.

Chi ha provato la Terapia della risata ha potuto riscontrare un deciso miglioramento delle funzioni respiratorie e delle funzioni addominali, un aumento di autostima e una netta intensificazione delle relazioni sociali piacevoli.

Chi segue la Terapia della risata da anni, sostiene che rinforzi il sistema immunitario e combatta l’arteriosclerosi, aiutando anche in caso di problemi cardiaci.

Ridere non fa miracoli, ma senza dubbio non nuoce. I risultati ottenuti con questa terapia sono sempre più apprezzati e richiamano sempre di più l’attenzione anche dei più scettici.

Training Autogeno in gravidanza: tecnica e benefici

Nella vita di ogni donna la gravidanza rappresenta un momento ricco di grandi cambiamenti e forti emozioni.
La donna si trova ad affrontare uno degli eventi maggiormente impegnativi della sua vita, sia a livello fisico che a livello emotivo: sta generando dentro di sé una nuova vita.
Tutto è in trasformazione: il suo corpo, il suo ruolo, le relazioni affettive, il rapporto con il partner, le sue aspettative circa il futuro e soprattutto nei confronti del bambino che si appresta a venire al mondo.
Tutti i cambiamenti vissuti portano ad un turbinio di emozioni, cui nessuna donna sembra essere immune.

Gravidanza: cambiare prospettiva

Spesso alla gioia e alla positività si affiancano il nervosismo e la sensazione di non essere all’altezza di quanto viene richiesto come future madri, influenzando l’umore e il benessere psicofisico della donna.
L’attesa di un bambino rappresenta quindi un periodo di grande felicità ma, come ogni cambiamento importante, può rappresentare anche una fonte di grande stress.

Fondamentale appare dunque, in questo evento di vita, imparare a vivere in una nuova modalità sia il rapporto con il proprio corpo, con tutto ciò che esso ci comunica, sia la propria sfera psichica e la propria emotività.

Una mamma in attesa sufficientemente in equilibrio con se stessa e con l’ambiente si relazionerà col suo futuro bimbo in modo più positivo, armonioso, accogliente e protettivo e ciò influirà costruttivamente sulla qualità del legame di attaccamento tra madre e bambino, anche dopo la nascita del piccolo.

Il Training Autogeno per accompagnare la futura mamma

Come ogni metodo che viene adottato per accompagnare le future mamme, anche il Training Autogeno, se condotto da un professionista esperto e seguendo un approccio idoneo alle necessità specifiche, dimostra di poter svolgere alcune funzioni importanti per il benessere psicofisico della gestante e del nascituro.

Avendo come uno dei suoi effetti importanti il miglioramento della capacità di autocontrollo emotivo di fronte agli eventi stressanti, il Training Autogeno può offrire un aiuto molto importante per le donne che devono affrontare una gestazione.

Grazie agli esercizi del Training Autogeno la gravidanza può essere vissuta con maggiore serenità: la paura del dolore fisico legato al parto, oltre alle altre paure e ansie che ogni futura mamma porta con sé durante la gestazione, possono essere ridimensionate e contenute.

Il Training Autogeno infatti permette di attenuare le oscillazioni degli stati emotivi e di umore della futura mamma, che accompagnano spesso tutto il periodo della gravidanza, ma anche le fasi che seguono il parto, svolgendo un’azione di protezione e di prevenzione delle problematiche più serie come i disturbi d’ansia e la depressione post-partum.

L’impiego del Training Autogeno in gravidanza inoltre ha mostrato di agevolare la riduzione di tutti i disturbi della gravidanza che hanno una componente psicologica che può aumentarne il malessere percepito (ad esempio, nausea, vomito, insonnia, irritabilità, stitichezza, piedi gonfi, stanchezza e dolori tensivi).

Travaglio e parto con gli esercizi di Training Autogeno

L’accompagnamento alla nascita è una delle applicazioni psico-educative del Training autogeno, indirizzata soprattutto a condurre la futura mamma al travaglio con la massima tranquillità.

È fondamentale che il Training Autogeno, in vista del parto, venga appreso ed interiorizzato in modo tale che si trasformi in un meccanismo automatico (autogeno).
Per questo è necessario un allenamento quotidiano che prevede un’esecuzione degli esercizi da 2 a 3 volte al giorno (gli esercizi durano da pochi minuti ad un massimo di 10-15 minuti).
Gli esercizi del Training Autogeno sono sei, ma per la preparazione al parto possono essere sufficienti i primi due (pesantezza e calore), più l’esercizio del respiro.

I benefici del TA in gravidanza in breve

Gli esercizi del Training Autogeno permettono:

  • la riduzione del tono muscolare
  • la riduzione della pressione sanguigna
  • attraverso il respiro autogeno, il corpo mantiene la capacità di svolgere la propria funzione respiratoria in maniera integrale, anche in presenza di fatica e difficoltà.

Il vantaggio che ne deriva è doppio:

  • da un lato è assicurata al bambino una migliore ossigenazione
  • dall’altro lato la madre ha la possibilità di sperimentare meno dolore.

Ovviamente, il Training Autogeno non elimina il dolore legato al parto, ma insegna a gestirlo e a controllarlo. Se l’ansia e la paura sono controllate, il dolore non diventerà pervasivo. Tutto si espleta in maniera più fluida, in tempi più brevi, in un’atmosfera generalmente del tutto serena e, dopo nove mesi di attesa, la mamma felice finalmente accoglie tra le braccia il suo bambino.

Perle di salute – Il rapporto speciale feto-mamma

Il legame madre-bambino si crea ben prima che quest’ultimo nasca.
Si dice sempre che tra mamma e bambino si instauri un rapporto speciale già dalle prime fasi di gravidanza: lo stretto contatto tra madre e figlio è infatti rafforzato da un canale di comunicazione privilegiato fatto di sussurri, carezze e parole che risuonano come un’eco nel pancione materno.
Il feto, infatti, percepisce questi suoni che si rispecchiano nel suo comportamento e nello stato di salute.

Numerosi studi hanno dimostrato che il feto non è un soggetto passivo. È attivo e sensibile già in una fase precoce della gravidanza ed è in grado di ricevere stimoli intra ed extra uterini.
È sensibile ai rumori corporei della madre e ai suoni dell’ambiente esterno. In particolare, la voce della mamma, udita nel periodo intrauterino, è riconosciuta dal neonato e faciliterà il suo attaccamento ad essa.

La pelle in Medicina Cinese: dove il corpo manifesta il suo disagio

Pruriti, eritemi, eczemi, dermopatie… le cause delle manifestazioni sulla pelle sono le più svariate.
La cute costituisce un territorio privilegiato dove il corpo-mente manifesta il proprio disagio interiore.
 

La pelle in Medicina Cinese

In Medicina Cinese è molto chiaro: la pelle è lo specchio della salute dei nostri Polmoni.
Se la pelle è secca, desquama o è grassa o arrossa, prude, diventa purulenta… è un “segno”! Più che utilizzare creme e lozioni è meglio interpretare il campanello d’allarme e portare armonia tra gli organi coinvolti o le sostanze fondamentali in disequilibrio.
 
La pelle è una barriera, fa parte delle nostre possibilità di proteggerci, è sistema immunitario.
Ma è anche il confine tra noi e il “fuori da noi”, è l’espressione del senso del tatto, quello che maggiormente ci mette in relazione con gli altri. Di più, la pelle reagisce alla malinconia, ma anche all’ingiustizia.
 

Organo Polmone

Com’è possibile tutto questo?
Nel meraviglioso mondo della Medicina Cinese, tutto ciò che ha la medesima vibrazione appartiene allo stesso Sistema: la pelle è espressione di Polmone Organo; i polmoni, a loro volta, fanno parte, assieme all’Intestino Crasso, del Movimento Metallo, che a sua volta è associato all’Autunno.

E’ in autunno che si passa dalla rigogliosità dell’estate ad una forma più essenziale: pian piano l’albero si spoglia di ciò che diviene superfluo e mostra la sua essenza. Anche l’uomo, in questa fase della vita, ma anche in questa stagione nell’arco dell’anno, ha l’occasione di eliminare ciò che è superfluo, per dare valore alle proprie qualità.

L’ideogramma Metallo 金 rappresenta un “tetto” messo a protezione di un sottosuolo ricco di pepite di metalli preziosi, che si solidificano nella terra. Le pepite dell’uomo sono la sua integrità, la fermezza e la capacità di giudizio.
Ma il Metallo è anche duttile: qualità fondamentale per bilanciare la durezza, affinché l’integrità non si trasformi in eccesso di intransigenza.

L’organo Polmone e l’organo Intestino Crasso sono associati perché entrambi raccolgono, condensano e gestiscono i liquidi e le impurità, regolando l’umidificazione e la secchezza del corpo.
Il Polmone raccoglie il Qi, l’energia vitale, fatto di aria ed energie cosmiche, e lo distribuisce a tutto il corpo. Poi elimina le impurità attraverso l’espirazione e la pelle.
Così l’Intestino Crasso, che raccoglie le scorie e le porta in basso, verso la terra.
Lo stato di salute della pelle riflette l’energia dei Polmoni, che ne comandano l’apertura e la chiusura dei pori.
Ecco perché allergie e dermatiti possono avere la stessa origine nella disarmonia!

 
Che sia un problema del dialogo Polmoni/Rene o magari un Sangue troppo “caldo”, che sia l’energia di difesa Wei carente o uno stato emotivo non risolto, la Medicina Cinese individua il trattamento per riequilibrare, con i canali energetici e i punti di accesso all’energia, e risolvere “dal fiore alla radice”.
 

Ansia e rimedi naturali: il Training Autogeno

Chi di noi non ha mai provato uno stato di tensione, di preoccupazione, di agitazione?
Quando sentiamo il battito cardiaco accelerato, la frequenza respiratoria aumentata, i muscoli tesi, diciamo: “Che ansia!”.

I sintomi dell’ansia

L’ansia è multisfaccettata, si può manifestare con sintomi diversi, psicologici e fisici.
I sintomi fisici dell’ansia (tensioni, vertigini, mal di stomaco, affanno, attacchi di panico…) spesso spaventano, generando circoli viziosi, la cosiddetta “paura della paura”.
Tuttavia, essi dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo in ansia ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.

In questo senso, l’ansia non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa. E’ infatti una condizione fisiologica adattiva efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad esempio sotto esame, durante una gara).

L’ansia disfunzionale

Proprio perché proiettata nel futuro, l’ansia spinge la persona ad attuare condotte preventive che le permettono di affrontare il pericolo rimanendo indenne.

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata, quando si tratta dell’anticipare, immaginare una minaccia futura che non presenta un pericolo immediato, siamo di fronte a uno stato d’ansia disfunzionale che fa scattare l’emergenza anche quando non serve. Tale situazione può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.
Possiamo citare, come esempio, comportamenti prudenti o comportamenti di evitamento, che nei casi conclamati non si limitano ad ambiti specifici, ma diventano reazioni pervasive che invalidano fortemente l’autonomia della persona.

I disturbi d’ansia

In questo modo, una risorsa fondamentale per l’esistenza di ognuno di noi, ovvero la percezione di emozioni come messaggi che il corpo ci invia per proteggerci, si trasforma in qualcosa di disfunzionale che sfocia in veri e propri disturbi d’ansia caratterizzati da alcuni sintomi:

  • a livello cognitivo: un senso crescente di allarme e di pericolo, il senso di vuoto mentale, la sensazione di perdere il controllo, la presenza di immagini, ricordi e pensieri negativi
  • a livello fisico: tensione, tremore, sudore, palpitazione, aumento della frequenza cardiaca, vertigini, nausea, difficoltà respiratorie.

Quando l’ansia diventa estrema e incontrollabile, sfociando in uno dei disturbi d’ansia, occorre un intervento professionale che possa aiutare la persona a gestire i sintomi così fastidiosi e invalidanti.

Rimedi naturali per gestire l’ansia

L’ansia, soprattutto quando non raggiunge livelli estremi tipici di un vero e proprio disturbo, può essere gestita con tecniche di rilassamento, strategie di meditazione e rimedi naturali.

Tra queste, il Training Autogeno è sicuramente la tecnica di rilassamento più conosciuta al mondo, perfezionata negli anni ’30 dal neurologo J.H. Schultz come metodo di autodistensione psichica.

Il Training Autogeno

Nella sua versione somatica, il Training Autogeno consiste nell’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione passiva (il “training”), centrati su alcune sensazioni corporee che portano ad ottenere spontanee modificazioni neurovegetative che andranno a riequilibrare i parametri alterati dalle situazioni di stress.
Queste modifiche sono autoindotte (“autogeno” significa “che si genera da sé”), differenziando questa tecnica da altre in cui serve necessariamente un terapeuta ogni qualvolta si utilizzino (ad esempio l’ipnosi oppure il rilassamento guidato).
Con la ripetizione degli esercizi diventa possibile ottenere l’associazione tra una formula ripetuta mentalmente e uno stato psicofisico di calma, distensione, equilibrio. Grazie a queste caratteristiche, il Training Autogeno è una tecnica molto utilizzata nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Quando siamo sovrastati dall’ansia disfunzionale, che impedisce di pensare lucidamente e che può sfociare con facilità in un panico paralizzante, viviamo uno stato di allerta inutile ma non riusciamo ad “abbassare la guardia” anche se non sussiste (o non c’è ancora) un pericolo immediato.
Il Training Autogeno mira a smorzare lo stato fisiologico di allerta: i muscoli si rilassano, il respiro e il battito del cuore diventano più regolari, lo stomaco si distende, le tensioni emotive si sciolgono e la mente riacquista una sensazione di freschezza e di chiarezza. Una volta appreso, durante un percorso specifico, il Training Autogeno diventa uno strumento vincente contro i disturbi d’ansia che possiamo utilizzare in maniera completamente autonoma ogni volta che ne abbiamo bisogno.

Perle di salute – Allunga l’espirazione

Esistono tutta una serie di tecniche di respirazione che puoi provare per alleviare i sintomi d’ansia e iniziare a sentirti subito meglio.
Una delle tecniche più semplici è quella di allungare l’espirazione.
Invece di fare un respiro grande e profondo, prova a fare un’espirazione completa: spingi tutta l’aria fuori dai polmoni, poi lascia semplicemente che i polmoni facciano il loro lavoro, inalando aria.
Poi, prova a dedicare un po’ più di tempo sia all’espirazione che all’inspirazione: per esempio, prova ad inspirare per quattro secondi, poi espirare per sei secondi.
Prova a farlo per 2-5 minuti.

Questa tecnica può essere eseguita in qualsiasi posizione confortevole, in piedi, seduti o sdraiati.


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Disturbi alimentari e TBS: la bulimia

disturbi alimentari la bulimia

Nella nostra società occidentale, improntata al benessere e alla ricchezza, il cibo è consumato più per piacere che per necessità e i disturbi del comportamento alimentare sono sempre più diffusi. Nei paesi meno sviluppati, dove mangiare non rappresenta un piacere ma un modo per garantirsi la sopravvivenza, questi problemi risultano praticamente sconosciuti.

I disturbi alimentari

I disturbi alimentari, oltre ad essere caratterizzati da un rapporto anomalo con il cibo,  sono accomunati da:

  • un’eccessiva preoccupazione per la forma fisica
  • un’alterata percezione della propria immagine corporea

Alla base di tutto questo sembra esserci una bassa autostima del soggetto: nella società moderna vige l’ideale della magrezza e della linea perfetta e spesso non ci si sente all’altezza, poiché non si rispecchiano completamente questi canoni.
Inoltre, le sensazioni piacevoli e confortanti che il cibo procura alle persone può essere vissuto come un modo di reagire alle difficoltà e alle insicurezze della vita quotidiana.

I disturbi alimentari possono arrivare a danneggiare la nostra salute fisica, oltre che psicologica ed emotiva.

La bulimia

La bulimia, nelle sue svariate forme, è la disfunzione del comportamento alimentare che negli ultimi decenni appare sempre più in aumento.
Letteralmente il termine bulimia significa “fame da bue”.
Questo disturbo si manifesta principalmente come una compulsione irrefrenabile a mangiare, non dovuta tanto alla fame, quanto piuttosto al desiderio inarrestabile di consumare cibo.

La bulimia può condurre ad una totale perdita di controllo nei confronti del cibo e di conseguenza alla sensazione di non essere in grado di gestire la propria condotta e al senso di colpa.

Il rapporto disfunzionale con il cibo

Chi soffre di bulimia cerca di controllare il desiderio evitando di mangiare, ma solitamente ottiene l’esatto contrario, ossia più si sforza di non mangiare e più si lascia andare a momenti di vere e proprie abbuffate, concedendosi il cibo senza ritegno.

Nel caso della bulimia, è necessario intervenire attraverso l’utilizzo di stratagemmi terapeutici che conducano allo sblocco del circolo vizioso. Nonostante la maggior parte dei pazienti sia collaborativa, non è in grado di interrompere razionalmente le proprie modalità disfunzionali.
Questo, del resto, è anche il motivo per cui le diete, prescritte usualmente facendo leva sulla motivazione e la volontà della persona a cambiare il suo sofferto stato, nella maggioranza dei casi naufragano miseramente.

Il problema essenziale della dieta consiste indubbiamente nel suo mantenimento nel tempo, poiché nessuno di noi riesce ad osservare a lungo un regime alimentare troppo restrittivo. Dopo un po’ di tempo, ci si stanca, lo si abbandona, e spesso si ritorna purtroppo ad ingrassare.
Qualunque dieta, infatti, va ad interferire pesantemente con la sensazione fondamentale su cui si basa il nostro rapporto con il cibo: il piacere, ecco allora perché quest’ultimo dovrebbe diventare il principale fondamento di un buon programma alimentare.

La Terapia Breve Strategica nella risoluzione dei disturbi alimentari

Un modello terapeutico efficace ed efficiente nella risoluzione di problematiche connesse ai disturbi alimentari è la Terapia Breve Strategica (TBS).

La TBS si pone come obiettivo principale quello di analizzare, con il paziente, quelle che sono le caratteristiche del disturbo e la sua insorgenza: individuare le tentate soluzioni messe in atto per risolvere il problema e sostituire questi comportamenti e soluzioni disfunzionali con comportamenti e soluzioni nuovi e più funzionali.

Tre principali tipologie di bulimia

Studi empirici hanno permesso di identificare tre principali tipologie di bulimia:

  • Bulimia boteriana: è rappresentata dal 10% della popolazione. Comprende quei soggetti che negli anni sono ingrassati a tal punto da ricordare i personaggi dei quadri del celebre pittore colombiano Fernando Botero.
    Si tratta generalmente di persone tranquille, serene, perfettamente adattate al proprio problema, che giungono in terapia solamente perché costrette dal medico o dal dietologo, per via di problemi di salute dipendenti dall’eccesso di peso.
  • Bulimia da effetto “carciofo”: comprende quei soggetti per i quali l’eccesso di peso rappresenta una specie di protezione da problemi affettivi e relazionali. Per quanto tentino di mettersi costantemente a dieta, non ci riescono mai, oppure ci riescono per un po’, ma poi ricadono nella sintomatologia bulimica. La loro costante lotta con la bilancia e con la dieta, catalizzando completamente la loro attenzione, li tiene al sicuro dal dover affrontare altre dinamiche personali.
  • Bulimia jo jo: si tratta della forma di bulimia più frequente. Sono persone che alternano periodi di dieta, dove riescono a perdere i chili di troppo, a periodi in cui perdono il controllo sul cibo e riprendono tutti i chili persi. Questi soggetti alternano momenti di grande fiducia nelle proprie capacità, a momenti di scarsa autostima. L’umore è fortemente condizionato dal rapporto con il cibo.

La bulimia è un disturbo alimentare complesso, ma questo non vuol dire che sia necessario tanto tempo per risolverlo.
In tal senso la Terapia Breve Strategica dimostra ottimi risultati, grazie all’utilizzo di protocolli specifici a seconda della tipologia di bulimia.
Obiettivo in tutte e tre le tipologie è quello di agire attivamente sull’equilibrio disfunzionale che intrappola chi soffre e costruire un sano e duraturo rapporto con il cibo e con se stessi.

La ricerca sull’efficacia dei trattamenti in Terapia Breve Strategica ha mostrato che circa il 91% dei casi è stato portato a piena risoluzione.

Perle di Salute – Posa le posate!

Se trascorriamo un pasto in un’atmosfera di relax e spensieratezza, scegliendo il cibo di nostro gradimento, consumandolo più lentamente, da veri intenditori, da “degustatori” che ne assaporano ogni boccone, non avremo nessuna difficoltà di digestione e, probabilmente, nessuna ripercussione metabolica non voluta.

Proviamo ad applicare una regola molto semplice ma efficace: “POSATE LE POSATE”.
Dopo aver messo un boccone di cibo in bocca, appoggiamo sempre le nostre posate sul piatto o sul tavolo: questo semplice gesto permette di rallentare il ritmo, di mangiare in modo più consapevole invece di svuotare il piatto velocemente e quasi automaticamente.
Non dimentichiamo che i recettori responsabili dei segnali del senso di fame e sazietà si attivano dopo circa 15 minuti dall’inizio della digestione!

Christmas Blues: combattere la tristezza natalizia

Oramai non manca molto alle feste di Natale…
I negozianti hanno già cominciato a esporre addobbi natalizi, leccornie tradizionalmente servite al cenone o al pranzo di Natale, articoli da regalo da mettere sotto l’albero… C’è aria di festa, nonostante tutto!Pensando al Natale, di solito prima immaginiamo un periodo di preparazione: decorare la casa, trovare regali, invitare ospiti, inventare un menu tradizionale sì, ma con qualcosa di speciale per lasciare una nostra impronta personale.

Tutto questo potrebbe fare appello alle nostre capacità organizzative, stimolare la nostra creatività, farci vivere una sensazione frizzante e gioiosa di attesa delle feste.

christmas bluesChristmas Blues: la “depressione natalizia”

Purtroppo per molte persone quello delle festività natalizie non è un periodo semplice da affrontare, bensì motivo di stress emotivo e malinconia che pervade l’anima.

La festa di Natale da secoli è il simbolo della famiglia unita, ma non tutte le famiglie vanno d’amore e d’accordo e il ritrovarsi tra i familiari a volte crea un clima di tensione; così alcune persone non riescono a condividere il piacere che è scontato per altri e vivono il tradizionale incontro con la famiglia come fonte di frustrazione e sofferenza, mentre le persone che non dispongono più di legami familiari nel periodo natalizio provano in maniera ancora più intensa il senso di solitudine.

In questi casi il calo di umore può sfociare in una lieve depressione, la cosiddettaChristmas blues”, ovvero la malinconia natalizia.
I sintomi della depressione natalizia, che è più frequente di quello che si possa pensare, non si discostano da quelli della depressione comune. I più ricorrenti sono:

  • ansia
  • insonnia
  • calo della libido
  • crisi di pianto
  • pensieri negativi

Un malessere diffuso che teniamo spesso nascosto, in una società in cui a Natale l’allegria è quasi d’obbligo.

Lo stato malinconico è ed è facilitato dai concomitanti cambiamenti stagionali quali la diminuzione delle ore di luce e il calo della produzione di serotonina, che possono incidere ulteriormente sullo stato di tristezza.

In aggiunta a tutto ciò, quest’anno per tutti noi le feste di Natale rischiano di essere influenzate negativamente dalla situazione di emergenza causata dalla pandemia COVID19. Stiamo vivendo alcune restrizioni negli spostamenti, nel frequentare altre persone, nell’organizzare il lavoro o il tempo libero. Qualcuno accusa inoltre uno stato d’ansia o angoscia pensando al nemico invisibile che tutto il mondo cerca di combattere.
Non sappiamo ancora se a Natale 2020 riusciremo a unirci realmente attorno a una tavola oppure dovremo affidarci all’aiuto tecnologico per poter stare insieme virtualmente, ma ciononostante la vita continua sempre a progredire e dobbiamo andare avanti nel migliore dei modi!

Come combattere la tristezza natalizia

In questo periodo di incertezze stiamo navigando a vista, giorno per giorno, e non è utile crearci le aspettative troppo concrete, nemmeno per organizzare una festa così tradizionale come lo è il Natale.

Dobbiamo invece sfruttare di più la nostra capacità di adattamento, la capacità di cambiare i progetti precedenti trovando soluzioni nuove. Soffermiamoci a pensare alle cose che abbiamo, non a quelle che mancano.

Proviamo a vivere le festività nel modo più sereno possibile, lasciando alle spalle problemi famigliari e liti, facendoci guidare dal rispetto, dalla tolleranza, dall’empatia.

Cerchiamo di non rinunciare a tutto ciò che tradizionalmente accompagna la festa di Natale:

  • decoriamo le nostre case usando luci colorate e candele profumate
  • addobbiamo l’albero di Natale
  • prepariamo i regali che quest’anno forse saranno più modesti, ma
  • comunicheranno ai nostri cari il nostro affetto
  • cuciniamo prelibatezze da consumare insieme o in compagnia virtuale

Tutto questo stimolerà positivamente i nostri sensi ed evocherà i ricordi piacevoli del passato facendoci vivere le emozioni più belle!

Secondo le ricerche eseguite da scienziati nell’ambito della PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI), vivendo le emozioni positive rafforziamo le difese immunitarie del nostro corpo, di conseguenza diventiamo più forti davanti alle minacce del virus.

Con i nostri gesti di attenzione e affetto verso le altre persone provochiamo in loro emozioni positive aiutandole a diventare più forti.

La situazione generale del momento ci insegna quanto possiamo essere pericolosi gli uni per gli altri.
Il Natale di quest’anno ci insegnerà quanto possiamo essere interconnessi positivamente, aiutandoci e sostenendoci a vicenda.

La Sindrome da Burnout o esaurimento da lavoro: cos'è, sintomi e trattamento con la TBS

A chi non è mai capitato, pensando al lavoro, di dire:
“Non ce la faccio più” – “Che stress!” – “Mi sento sfinito”?

Lo diciamo quando ci sentiamo troppo sotto pressione, quando il carico del nostro lavoro ci pesa troppo togliendoci il respiro.
Se questa sensazione dura per un certo periodo, senza darci tregua, e noi non riusciamo a gestire lo stress causato dalla situazione lavorativa, rischiamo di finire nella trappola della Sindrome da Burnout, sentendoci sopraffatti, emotivamente svuotati, e non in grado di soddisfare le nostre esigenze.

Sindrome da Burnout: di cosa si tratta

La parola “burnout” in italiano può essere tradotta come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”.
Questo termine compare nel 1930 nell’ambito dello sport, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di migliorare o mantenere i risultati raggiunti.

Negli anni Settanta il fenomeno di burnout si diffonde negli Stati Uniti d’America colpendo soprattutto i soggetti che praticano le professioni di aiuto alla persona (dipendenti del comparto sanitario, assistenti sociali, insegnanti, poliziotti, vigili del fuoco, ecc…).

Nel 1975 il termine di burnout viene ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach per definire una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale a carico delle professioni ad elevata implicazione relazionale.

Successivamente diventa evidente che la sindrome da burnout non coinvolge solo le “helping professions”; numerose categorie di soggetti sono a rischio e tra queste troviamo anche i liberi professionisti quali, per esempio, gli avvocati, le segretarie, i dipendenti pubblici, i manager e molti altri ancora.

Tra le numerose manifestazioni della sindrome da burnout, sono sempre presenti tre caratteristiche principali:

  • senso di esaurimento
  • aumento della distanza mentale dal proprio lavoro
  • ridotta efficacia professionale

Le 4 fasi della Sindrome di Burnout

Il burnout insorge gradualmente e si aggrava a causa dei tentativi di gestire lo stress lavorativo in modo poco efficace o addirittura disfunzionale.

Nella sua evoluzione, si distinguono 4 fasi:

  • la PRIMA FASE è caratterizzata da “entusiasmo idealistico”: il lavoratore si sente motivato dalla sua scelta professionale e si crea delle aspettative alte e non molto realistiche di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora
  • nella SECONDA FASE, detta anche di “stagnazione”, il soggetto continua a lavorare, ma si accorge che il suo lavoro non lo soddisfa del tutto e i risultati dei suoi sforzi lavorativi cominciano ad apparire inconsistenti. Inizia a farsi strada un sentimento di profonda delusione
  • la TERZA FASE è caratterizzata dalla frustrazione profonda: il lavoratore comincia a credere di non essere più in grado di aiutare nessuno. Questa sensazione è supportata dallo scarso apprezzamento del suo lavoro da parte dei suoi superiori o degli utenti stessi. In questa fase il soggetto frustrato potrebbe mettere in atto atteggiamenti aggressivi verso di sé o verso gli altri o atteggiamenti di fuga e ritiro
  • il graduale disimpegno emozionale, conseguente alla frustrazione, con passaggio dall’empatia all’apatia, costituisce la QUARTA FASE, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria “morte professionale”.

Nelle ricerche più recenti si evidenzia come la Sindrome di Burnout, oltre alle difficoltà di gestire lo stress lavorativo a livello personale, può essere sostenuta anche da alcune inadeguatezze organizzative e socio-economiche che fanno perdere di vista i bisogni dei lavoratori.

I principali sintomi della Sindrome di Burnout

La sindrome da burnout è una situazione di forte disagio per il soggetto e può comportare diverse conseguenze nella sua vita quotidiana.

Dal punto di vista emotivo e cognitivo, i sintomi del burnout comprendono difficoltà di concentrazione, bassa stima di sé, senso di colpa, fallimento, rabbia e risentimento; agitazione, irritabilità e nervosismo; infelicità e preoccupazione costante.

Per quanto riguarda i sintomi fisici, il burnout può manifestarsi con stanchezza, insonnia, tachicardia, mal di testa, mal di stomaco, problemi digestivi, tensioni muscolari e mal di schiena, nausea, vertigini …

Il burnout può condurre il paziente ad un abuso di alcol, cibo, farmaci o sostanze psicoattive. In questo caso il problema si aggrava ulteriormente. Se non si interviene in modo professionale, si possono verificare isolamento, autolesionismo, impoverimento della vita di relazione, disturbi d’ansia, crisi di panico, depressione.

Affrontare il Burnout


Molte figure professionali possono venire in aiuto alla persona intrappolata nella rete di burnout.
Per esempio, con il Training Autogeno si impara a rimanere più calmi e distesi. Diventa così possibile scaricare le tensioni senza influire negativamente sui vari organi, ottenendo buoni risultati sui disturbi psicosomatici. Inoltre, consente un recupero più rapido di energie psico-fisiche, una riduzione dell’aggressività, un miglioramento dell’efficienza, della concentrazione nello studio e nel lavoro, una maggiore sicurezza e fiducia in se stessi e di conseguenza un accrescimento della capacità di affrontare lo stress lavorativo.

La persona sofferente può trovare un valido aiuto rivolgendosi a uno psicoterapeuta. Per esempio, un intervento di Terapia Breve Strategica, un approccio professionale di aiuto, molto concreto e pragmatico, guiderà il paziente a ristrutturare le sue percezioni, modificare i suoi pensieri e le sue azioni trasformando le tentate soluzioni precedentemente attivate, atte a gestire la situazione lavorativa stressante, da disfunzionali in modalità di gestione della realtà adeguata e adattiva.

Perle di Salute: impariamo a godere di ogni momento, uno alla volta

La vita di ogni persona ha molteplici aspetti, e quello lavorativo è solo uno di essi.
Per molti di noi il lavoro è molto importante perché, di solito, occupa almeno un terzo della nostra giornata, ci procura un sostegno economico e ci permette di percepire il nostro valore a livello sociale e individuale.
Tuttavia, l’attività lavorativa non deve diventare un aspetto preponderante o addirittura l’unico aspetto della nostra esistenza. Il nostro spazio personale e relazionale non deve essere trascurato.

Proviamo a proteggere di più il nostro spazio personale e relazionale e a non permettere alla dimensione “lavoro” di invaderlo!

Uscendo dal lavoro, alla fine della giornata, chiudiamo la porta dell’ufficio: cominciamo a chiuderla anche nella la nostra mente. Cominciamo a dare un’unica risposta a tutti i quesiti di contenuto lavorativo: “Bene, è una questione importante. Ci penserò domani, in ufficio alle 8:00. Ora, invece, torno alla mia occupazione del momento.”
Se, con costanza e con pazienza, impariamo a gestire i pensieri professionali, arrivati in un momento inopportuno, in questo modo, piano piano riusciremo a costruire un atteggiamento mentale e comportamentale che ci permetteranno di essere più presenti negli altri aspetti della nostra vita e, di conseguenza, goderli di più, sentendoci più soddisfatti e più rigenerati. L’indomani, le ore lavorative ci sembreranno meno pesanti!


Sei interessato all’argomento e ti piacerebbe approfondirlo?
Potrebbe interessarti il corso “Burnout: un problema manifestato dal paziente e vissuto dal terapista” 

Scopri di più! Noi siamo a disposizione per qualsiasi ulteriore informazione!

Attacchi di panico: cosa sono e come intervenire con la Terapia Breve Strategica

paura

Mani che tremano, tachicardia, groppo in gola, nausea, sudorazione, difficoltà nel respirare, confusione, paura di impazzire e perdere il controllo o di morire, paura che i soccorsi non arrivino in tempo e che tutti scoprano quanto si è vulnerabili…
Benvenuti nel mondo del… panico!

Cosa ci succede dopo il primo attacco di panico

Una volta vissuto il primo attacco di panico, cambia tutto!
Da questo primo momento critico in poi, potrebbe cronicizzarsi una vera e propria patologia mentale, poiché quella situazione di forte paura rimarrà talmente impressa nella nostra mente da sviluppare la credenza che, in condizioni simili, quelle sensazioni si possano nuovamente verificare.

La sicurezza durante gli spostamenti diventa solo un lontano ricordo, la spensieratezza nel fare le cose quotidiane e anche banali diventa un miraggio sempre più distante…
Un’ombra sinistra è sempre dietro l’angolo, pronta a tendere un agguato quando meno lo si aspetta.

Spesso ci si sente dire: “è tutto nella tua testa, non è niente! Rilassati e non ci pensare!”, come se fosse facile seguire questo consiglio…
Gli amici e i parenti assistono, ma non capiscono, le pagine dei social dedicati all’argomento sono solo un rifugio per non sentirsi soli, ma in realtà lo si è, perdendo sempre di più la speranza di tornare alla vita di una volta.

Cosa sono e cosa fare per affrontare gli attacchi di panico

pauraln genere, il tentativo di liberarsi dagli attacchi di panico riguarda, almeno inizialmente, il ricorso a farmaci per ridurre la reazione psicofisiologica dell’ansia.
Questa strategia tuttavia, si trasforma, dopo qualche tempo, in una tentata soluzione che alimenta il problema, poiché abitua la persona a delegare al farmaco la capacità di resistere alle reazioni di panico e incentiva così la sfiducia nelle proprie risorse personali.

Analizzando le reazioni più usuali a una percezione di intensa paura, si osservano alcune modalità di comportamento tipiche per le persone che soffrono di attacchi di panico:

  • la tendenza a evitare le situazioni associate alla paura
  • la ricerca di aiuto e protezione
  • il tentativo di tenere sotto controllo le proprie reazioni fisiologiche.

Purtroppo queste tentate soluzioni non solo non permettono di sconfiggere il problema, ma lo rendono anche più persistente.
Infatti, i parametri fisiologici che indicano l’innalzarsi del livello d’ansia sono funzioni spontanee dell’organismo e il tentativo di controllarli razionalmente altera la loro naturale espressione.

Evitare le situazioni temute conferma certamente la loro pericolosità percepita e fa aumentare la sensazione di inadeguatezza del soggetto, il quale finirà per costruire una spirale progressiva di diversioni, fino ad arrivare alla completa inattività.
Addossare agli altri la responsabilità di aiutare, costruendo in questo modo dei legami affettivi morbosi, basati sul bisogno e sulla dipendenza, mantiene e fa crescere la paura.
Se tale modalità relazionale non viene interrotta, condurrà sicuramente la persona alla totale incapacità sia di stare da sola che di affrontare qualunque ostacolo.

La reiterazione nel tempo dei comportamenti di questo tipo incrementa la percezione della paura e rafforza il disturbo.
Se si riesce, al contrario, a interrompere tali interazioni disfunzionali, la paura rientra nei limiti della funzionalità.

 

L’approccio risolutivo della Terapia Breve Strategica agli attacchi di panico

Nell’approccio di Terapia Breve Strategica – TBS, già negli anni ‘80 è stata realizzata la prima applicazione di un protocollo terapeutico specifico per gli attacchi di panico con agorafobia, basato su una sequenza strategica di stratagemmi terapeutici per bloccare le tentate soluzioni disfunzionali e portare i soggetti prima a sperimentare l’esperienza emozionale correttiva che cambia la percezione della paura, per poi venire esposti gradualmente alle situazioni temute, riscoprendo le proprie capacità di gestirle.

Il problema da attacchi di panico e le varianti ad esso collegate rappresentano l’area di maggior efficacia terapeutica della Terapia Breve Strategica (95% di casi risolti).

Ma il dato più stupefacente è che i pazienti si liberano dell’invalidante disturbo nel giro di 3-6 mesi con la durata media dei trattamenti di 7 sedute, e che tali risultati, come dimostrano le misurazioni di follow-up (controlli effettuati a distanza di 3, 6 e 12 mesi dopo la fine delle terapie), si mantengono nel tempo in assenza di ricadute e spostamenti del sintomo.

Come scrive Giorgio Nardone nel suo libro “La terapia degli attacchi di panico” (2016): “La vita inesorabilmente pone difficoltà e tranelli sul nostro cammino, e noi stessi siamo decisamente abili a scavarci sotto i piedi le trappole nelle quali poi cadiamo, ma spetta comunque a noi, in prima persona, magari con l’aiuto di uno specialista, venirne fuori e riorientare in positivo anche la direzione più maligna del destino.”

Perle di Salute – Scegliete bene con chi confidarvi

Quando abbiamo una forte preoccupazione, spesso ci viene “naturale” parlarne con altre persone. Raccontiamo il nostro problema a un amico, un parente, un collega o un vicino di casa per sentire il loro parere, per avere un consiglio, per essere capiti, rassicurati, consolati.
Ora anche Internet non si presta più solo come una fonte di informazioni, ci propone anche la possibilità di condividere i nostri stati d’animo e le nostre difficoltà con altre persone, anche sconosciute, e specialmente con quelli che dichiarano di vivere i nostri stessi problemi.
Così facendo, ci aiutiamo per davvero?
Non vi è mai successo, dopo aver parlato della vostra difficoltà, di sentirvi anche peggio di prima?
Non solo di non avere risolto il vostro problema, ma anche arrabbiarvi perché il vostro interlocutore cerca di sdrammatizzarlo o ridicolizzarlo facendovi sentire incompresi e poco rispettati?
Oppure talvolta rimanete con il vostro problema, anche arricchito, alimentato da esempi che le persone vi raccontano: “Sai, a mio cugino è successo anche di peggio!”
Potrebbe esservi d’aiuto solo un vero sfogo, quando riuscite ad esprimere tutto quello che vi si era accumulato sul cuore e vi sentite ascoltati, accolti, non giudicati. Solo in questo caso poi vi sentirete sollevati.

Tra le persone che conoscete, scegliete bene quella con cui sfogarvi: deve essere capace di ascoltare in silenzio! Una saggezza antica ci insegna: “La Madre Natura ci ha dato due orecchie e una sola bocca non a caso, ma per parlare meno e ascoltare di più!”.

Naturalmente, per ottenere i benefici sperati, più che ad un amico sarebbe estremamente opportuno rivolgersi ad un professionista, serio e specializzato, in grado di affrontare e consigliarci il percorso terapeutico più appropriato.

Come afferma Giorgio Nardone all’interno del libro “Non c’è notte che non veda il giorno – La terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico” (2003): “La paura, o si supera in prima persona, o non si supera. Nessuno può affrontare la paura che proviamo al posto nostro, nemmeno un farmaco.”.


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