Il colpo di frusta: cos'è, sintomi e rimedi

Il colpo di frusta: cos’è

Il colpo di frusta è un evento traumatico che interessa la parte alta della colonna vertebrale, chiamata cervicale.
Può interessare principalmente le vertebre, i muscoli e i legamenti del collo.
Dobbiamo ricordare che il tratto cervicale della colonna vertebrale è quello più mobile, pertanto è il più esposto; nonostante ciò, tutto il corpo del paziente subisce il colpo di frusta, dunque tutta la colonna, gli arti superiori ed inferiori, il torace ed anche i visceri.

Limitatamente al tratto cervicale, abbiamo il colpo di frusta quando il capo si flette bruscamente all’indietro per poi flettersi di nuovo, altrettanto bruscamente, in avanti; avviene, quindi, una distorsione della colonna cervicale.

Generalmente, il colpo di frusta è la conseguenza di:

  • un incidente automobilistico (soprattutto tamponamento)
  • una caduta accidentale
  • un trauma derivante da un urto
  • un colpo od un pugno
  • uno sport da contatto

Il colpo di frusta da tamponamento

Dobbiamo rilevare che la maggior parte dei colpi di frusta sono la conseguenza di incidenti automobilistici in cui le vetture subiscono un violento tamponamento.

Durante l’incidente, l’automobile viene tamponata: i sedili e gli occupanti subiscono una forte accelerazione che li proietta in avanti.
La testa, a causa del suo peso, tende a mantenere per inerzia la posizione iniziale mentre il resto del corpo, a causa dell’urto, subisce un’accelerazione verso l’avanti.
A questo punto la testa subisce un’accelerazione verso l’indietro, quindi va bruscamente verso il poggiatesta, arrecando potenzialmente un danno da iper-estensensione alla colonna cervicale.
Un istante dopo, come per rimbalzo, il capo viene proiettato in avanti con una velocità superiore rispetto al resto del corpo, provocando un danno da iper-flessione (vedi immagine).

Un tempo, le automobili erano sprovviste di poggiatesta, il quale fu introdotto non tanto per comodità quanto piuttosto per implementarne la sicurezza. Infatti, senza poggiatesta i danni alla colonna cervicale erano di maggiore gravità e talvolta letali o estremamente invalidanti, poiché causavano con relativa frequenza la frattura delle vertebre del collo, con conseguenze ben immaginabili.

La presenza del poggiatesta riduce, soprattutto se ben regolato, i danni da iper-estensione. Quanto più si troverà vicino o a contatto della nuca, quanto minori saranno le conseguenze dell’iper-estensione del collo.
Per quanto concerne la riduzione delle conseguenze dovute all’iper-flessione cervicale, la presenza di airbag frena la corsa della testa in avanti, diminuendo i danni dovuti a tale movimento.
Ovviamente, la cintura di sicurezza, mantenendo il corpo della persona ancorato al sedile, consente l’efficacia di airbag e poggiatesta. Infatti, senza di essa tutta la persona sarebbe proiettata in avanti, con conseguenze ben più gravi e tristemente note, come traumi cranici, e non solo, per impatti contro il parabrezza, il volante…

ll colpo di frusta in caso di sport da contatto

Il colpo di frusta può anche essere la conseguenza di traumi legati ad incidenti di altra natura, ad esempio domestica… o a gesti sportivi (soprattutto sport da contatto).
In questi casi, l’impatto avviene con maggior frequenza in direzione obliqua proiettando il capo non dal dietro all’avanti e viceversa, come descritto in precedenza, ma lateralmente, da un lato all’altro o da una direzione a quella opposta, causando comunque danni, vuoi ai muscoli, ai legamenti od alle  vertebre.

Talvolta le conseguenze possono essere molto gravi, poiché non in questi casi non ci sono dispositivi di sicurezza come nelle automobili.

I sintomi del colpo di frusta

Possiamo avere qualitativamente sintomi lievi, moderati o gravi, mentre temporalmente disturbi che possono insorgere a breve (subito o poco dopo il trauma), a medio e a lungo termine.
Quanto prima insorgono i sintomi e quanto più sono invalidanti, quanto più la situazione sarà grave.

Elenchiamo qui di seguito i sintomi e le lesioni principali:

  • Le lesioni muscolari, di varia gravità, dalla contrattura allo strappo, comportano dolore e limitazione di movimento.
  • Le lesioni legamentose, di varia gravità, comportano generalmente dolore, contratture muscolari, alterazione della mobilità, instabilità delle articolazioni e alterazioni posturali e propriocettive ovvero del senso della posizione, con possibili capogiri e nausea, vomito e tachicardia.
  • Le lesioni discali come protrusioni ed ernie che, oltre a rigidità e dolore di intensità spesso notevole, possono comprimere o meno radici nervose o il midollo, provocando radicolopatie, nevralgie, paralisi…
  • Le lesioni vertebrali (fratture) comportano generalmente problemi di mobilità e stabilità, oltre che dolore importante e rischi di lesioni vascolari, nervose o midollari.
  • Le lesioni nervose o del midollo che comportano disturbi della sensibilità come formicolio a carico degli arti (anche fino alle mani) o, in casi molto gravi, paralisi più o meno estese.
  • Sintomi trasversali a più discipline mediche come il mal di testa, le vertigini, la nausea, i ronzii alle orecchie (acufeni e tinnito), difficoltà a concentrarsi, disturbi della memoria e stanchezza.

Ci possono essere manifestazioni dolorose che oltrepassano la regione cervicale, provocando disturbi di varia gravità a carico della zona dorsale, della zona lombare e di quella sacrale.
In alcuni casi si hanno anche disturbi a carico dell’articolazione temporomandibolare e, di conseguenza, dell’occlusione (masticazione).

La diagnosi del colpo di frusta

A livello diagnostico, gli esami generalmente prescritti spaziano dalle radiografie, alle TAC alle RMN (risonanza magnetica), non escludendo visite specialistiche con ortopedici, fisiatri, neurologi, neurochirurghi, otorini, osteopati.

In ogni caso, è sempre fortemente consigliato recarsi in pronto soccorso per gli esami e le visite del caso dopo un colpo di frusta, anche in assenza di sintomi.
Questo perché molti sintomi compaiono solo diverse ore dopo il trauma. Solo tramite una visita specialistica e gli esami opportuni si potrà diagnosticare la reale entità del colpo di frusta e, di conseguenza, indicare le terapie più idonee.

I rimedi in caso di colpo di frusta

Il riposo, almeno inizialmente, è una delle direttive più indicate.
In questa fase è opportuno limitare i movimenti del collo e della testa, almeno all’interno del range del non dolore.
Spesso, fra i primi provvedimenti suggeriti dal medico vi è l’applicazione di un collarino, atto a sostenere e proteggere il collo da movimenti incongrui o da sollecitazioni eccessive.
Esistono vari tipi di collari cervicali in commercio: rigidi, semirigidi o morbidi, a seconda delle necessità.L’immobilità, se da un lato favorisce la stabilità e la riparazione delle varie componenti cervicali, dall’altro andrà mantenuta per il minor tempo possibile, poiché il prezzo da pagare è la perdita della funzionalità della muscolatura cervicale la quale, immobilizzata, perde di lunghezza e di forza/elasticità, allungando i tempi di recupero e rendendo inadatto il rachide cervicale ad affrontare la vita quotidiana.I farmaci più utilizzati, a seconda della momento e del caso, sono gli antidolorifici, gli antinfiammatori non steroidei, i miorilassanti, i cortisonici, …Superata la fase acuta del trauma, si possono introdurre terapie fisiche (TENS, tecar…), terapie manuali (massaggi, osteopatia …), kinesiterapia (movimento) attiva e passiva.

Perle di salute – Intervenire il prima possibile

A seconda della gravità del colpo di frusta, dopo qualche giorno è già possibile iniziare con le prime sedute terapeutiche.
Seguire il  percorso di recupero corretto è di fondamentale importanza perché assicura un recupero migliore dall’infortunio. In assenza di tale accorgimento, il dolore potrebbe cronicizzare, aggravarsi o comparire anche dopo diversi mesi, creando notevoli disagi al paziente.


Per approfondire…

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Cellulite o lipedema: davvero una patologia sconosciuta?

Avete mai sentito parlare di lipedema?

In questo articolo vorrei raccontarvi di questo sconosciuto, una patologia rara e poco diagnosticata.

Vi è mai capitato di notare delle figure femminili con la parte superiore esile e la zona dei fianchi particolarmente pronunciata? Insomma, un fisico “a pera”? Credo proprio che la risposta sia un deciso “sì”.

Nel sesso femminile la forma ginoide, comunemente definita “a pera”, è molto riscontrata in quanto gli ormoni femminili, gli estrogeni, predispongono ad un accumulo di adipe (grasso) e liquidi nelle zone di fianchi e glutei.
Inoltre, vi sarete accorti della presenza, su alcune di queste persone, di increspature della cute, piccole deflessioni tipiche di quella che viene definita “buccia d’arancia”.

Bene, se quello che vi ho appena descritto vi sembra davvero molto comune, sappiate che è così.

Lipoedema: non solo un inestetismo

Il lipedema (o lipoedema o cellulite) viene definito come disfunzione già negli anni 50 del 1900, ma solo tra il 2015 e il 2017 vengono inseriti, nei manuali medici, i criteri per la diagnosi di tale malattia.

Quello che per anni è stato definito solo come “inestetismo della cellulite”, ora invece diventa un sintomo di una vera patologia. Ed ecco che questo “sconosciuto” in realtà è una patologia molto comune, che viene definita “rara” a causa della poca informazione. Pochi, pochissimi sono i pazienti che si recano dal curante per chiedere un consulto riguardo questa patologia, in quanto di recente riconoscimento medico.
Questa difficoltà di diagnosi la fa rientrare tra le patologie rare.

Ma cerchiamo di capire qualcosa di più al riguardo.

I sintomi del lipoedema

I segni e sintomi del lipedema includono:

  • Disproporzione tra la parte superiore e quella inferiore del corpo, con aumento di volume nella zona di fianchi, glutei e cosce. Può coinvolgere tutto l’arto inferiore, ma mai il piede. A volte è presente anche sull’arto superiore (non sulla mano)
  • Presenza dei cosiddetti “noduli cellulitici” (buccia d’arancia)
  • Tessuto morbido e pastoso, che può anche oscillare durante la camminata
  • Dolore al tatto ed a volte anche spontaneo (inutile spiegare che un qualcosa che provochi dolore non possa solo essere una problematica estetica)
  • Presenza di lividi e/o capillari in evidenza
  • Sensazione di gambe pesanti o dolenti, che non varia sollevando gli arti.

Soggetti a rischio

Questa patologia colpisce principalmente le donne a causa della grande quantità di ormoni estrogeni. Sono rari gli uomini che presentano il disturbo ed in genere hanno un disequilibrio ormonale.
La patologia inizia a presentarsi dalla fase puberale e, essendo una patologia cronica e degenerativa, continua ad accompagnare la donna per tutta la vita, peggiorando se non si interviene.

Le cause del lipedema

Sebbene non si abbiano ancora dei dati certi a riguardo, sembrerebbe che il lipedema dipenda da una serie di fattori scatenanti.

In primo luogo il fattore genetico ed ereditario: pare infatti che vi sia una sorta di predisposizione famigliare.

Grande ruolo lo giocano gli ormoni, in particolar modo gli estrogeni: ritenuti responsabili di alterare la circolazione linfatica e sanguigna nelle zone interessate, favorendo un accumulo di liquidi che andrà a discapito delle cellule adipose locali. Gli adipociti (cellule di grasso) si ammalano e non riescono a svolgere la loro funzione di riserva energetica, accumulando lipidi senza cederli. Aumentano quindi le loro dimensioni andando ad alterare il decorso di vasi (sanguigni e linfatici) e dei nervi. Questo provoca un’infiammazione locale che si manifesta con dolore e alterazioni della temperatura, ed a volte sono visibili capillari o lividi. Da qui parte un circolo vizioso che tenderà ad alterare sempre più la circolazione, la conduzione nervosa e farà aumentare di volume le cellule adipose.
Il tessuto, sempre più compromesso, si organizzerà in formazioni fibrose che rendono visibili i noduli cellulitici e rendono, di fatto, impossibile gli scambi di liquidi e lipidi nella zona interessata.

Intervenire in caso di lipoedema

Il trattamento del lipoedema è un trattamento multidisciplinare.
È necessario intervenire su più fronti, con dieta ed attività fisica. Ma, poiché questi interventi possono essere poco produttivi da soli, bisogna andare ad intervenire anche su una delle cause principali della patologia, ovvero il disequilibrio dei liquidi.
A tal scopo, è possibile ricorrere alle tecniche manuali.Il denaggio linfatico manuale si occupa proprio di eliminare i liquidi in eccesso presenti nello spazio extracellulare, migliorando la circolazione locale.
Ha inoltre effetto sul dolore, riducendolo.
Nel trattamento del lipoedema vengono inoltre inserite alcune manovre apposite per migliorare la consistenza dei tessuti e rendere la cute omogenea, avendo effetto sia sull’estetica che sull’infiammazione interna.La battaglia contro il lipedema è soprattutto basata sul rendersi conto che il problema non è estetico, ma riguarda la nostra Salute. Non intervenendo si può rischiare un peggioramento della problematica fino a provocare un’invalidità nello svolgere le principali azioni quotidiane come camminare o vestirsi.Iniziamo a intervenire su questo “finto sconosciuto” per migliorare la nostra qualità vita.

Perle di salute – Altre tipologie di intervento

Oltre alle terapie manuali, per combattere il lipedema possono essere utili anche questi comportamenti:

  • Benvenuto lo sport, ma non la corsa. Tutti gli sport dove si salta o, in genere, si hanno degli impatti con il terreno sono da evitare, in quanto potrebbero peggiorare lo stato infiammatorio delle cellule adipose. Preferire lunghe passeggiate, allenamenti funzionali (senza salti) o sport acquatici.
  • Chiedere un consulto al nutrizionista per studiare una dieta equilibrata, povera di sale (responsabile della ritenzione dei liquidi) e di alimenti infiammatori.
  • Utilizzare indumenti compressivi adeguati, che possono aiutare il drenaggio dei liquidi.

Post parto: il supporto delle terapie manuali

Il periodo post parto

Tecnicamente con “post partum” ci si riferisce alle 2 ore successive al secondamento (ovvero l’ultima fase del parto, che corrisponde con l’espulsione della placenta).
Correntemente, invece, siamo soliti utilizzare il termine “post parto” per indicare un periodo senza limiti temporali precisi, compreso tra il parto e il fisiologico ritorno alla “normalità”.

Se è vero che molta attenzione sia rivolta, in termini di cura e assistenza per la futura mamma, al periodo dei 9 mesi della gravidanza, altrettanto non si può dire avvenga nel periodo successivo al parto, quando in realtà il corpo (ma anche lo spirito) della donna è sollecitato da una miriade di stress di natura differente per i quali spesso è molto difficile dare sostegno.

Gravidanza e poi

I cambiamenti intervenuti al fisico, e perdurati per un lasso di tempo piuttosto considerevole, sono arrivati al massimo della propria manifestazione. I tessuti coinvolti necessitano ora di assestamento per ritrovare un equilibrio ottimale.
Tutto questo mentre molte energie vengono costantemente spese per garantire la cura del benessere di un altro individuo completamente dipendente: spesso si tende a sottovalutare l’importanza della propria salute, proprio in nome di queste nuove responsabilità acquisite.

Senza contare che il processo di “ritorno allo status quo” potrebbe essere tutt’altro che lineare, specialmente in presenza di disturbi pregressi o creatisi durante la gravidanza.

L’iperlordosi residua

Durante la gravidanza grandi tensioni vengono, ovviamente, accumulate nell’area del bacino e degli arti inferiori, sottoposti alle tensioni create dall’aumento di volume dell’addome. Il peso del bambino e dell’utero fanno incrementare notevolmente la forza discendente e le linee di forza risultano pertanto essere sbilanciate, minando la stabilità del corpo.

Inconsapevolmente, la donna gravida corregge la sua postura, mettendo in atto degli adattamenti muscolo-scheletrici per rimanere in equilibrio, reagendo nella maniera più economica ed efficiente possibile.
I principali aggiustamenti sono a carico del rachide lombare e del bacino: con il progredire della gestazione, aumenta progressivamente la curvatura del rachide lombare e il sacro, a causa della iperlordosi, assume una posizione più orizzontale (nutazione) ampliando così l’area su cui gravano le pressioni del peso del tronco.

Questo atteggiamento posturale genera un’iperlordosi che potrebbe perdurare anche nel post partum (convenzionalmente inteso) sottoforma di “iperlordosi residua”.
Questo fenomeno è favorito anche dall’effetto degli ormoni che rendono i legamenti più rilassati e dalla riduzione di tono dei muscoli retti addominali, che agevolano ulteriormente un’antiversione del bacino. In questo modo il corpo ritrova il suo baricentro e quindi l’equilibrio.

I disturbi più comuni del post partum

Alcuni comuni disturbi tipici del post partum possono originare sia da disequilibri creatisi durante la gravidanza, che essere correlati a traumi avvenuti proprio durante il parto.
In questo senso, nella fase di riabilitazione post parto avrà grande rilevanza conoscere la modalità di parto (cesareo o vaginale) affrontata.

Le strutture che maggiormente potrebbero essere soggette a traumi (di varia entità) sono chiaramente quelle che vengono più sollecitate dal peso del bambino e dai cambiamenti che questo comporta:

  • torace
  • area del bacino
  • arti inferiori
  • rachide lombare

La diastasi dei retti addominali

Tra i vari disturbi correlati al post parto, merita menzione, in quanto molto diffuso ma relativamente poco conosciuto, la diastasi dei retti addominali, che comporta l’allontanamento permanente dei muscoli retti dell’addome (la diastasi si definisce non più  fisiologica se presente anche oltre sei mesi/un anno dal parto).

L’attività tonica dei muscoli dell’addome, che costituisce la parete addominale anteriore, supporta e protegge i visceri che sono presenti all’interno. Inoltre, questi muscoli svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento della postura attraverso la stabilizzazione del bacino e della colonna toracica e lombare.

Sottoposti allo stress tensionale della gravidanza, i tessuti tendinei della Linea Alba (la struttura tendinea che connette i due retti longitudinalmente), perdono il proprio tono determinando un allontanamento permanente dei ventri muscolari.

Questo deficit funzionale, scarsamente conosciuto anche a livello medico, modificando l’assetto dell’area del bacino e del tronco, diminuisce di fatto la capacità contenitiva dei muscoli addominali e può, a sua volta, causare problemi di incontinenza, ernie, lombalgie croniche, disturbi digestivi, gonfiore addominale.

Terapia manuale in aiuto alle neomamme

Le terapie manuali costituiscono un approccio molto efficace per riequilibrare eventuali squilibri tensionali presenti e agevolare il recupero funzionale delle strutture coinvolte e, quindi, facilitare la transizione fisica e mentale della neomamma, in maniera non invasiva e totalmente positiva.

Nello specifico sarà possibile ridurre gli spasmi nell’area del bacino con massaggi lenti e profondi, mirati a restituire la fisiologica elasticità ai muscoli del comparto gluteo e lombare, all’ileopsoas, rilassare il diaframma e il pavimento pelvico, allungare i legamenti che potrebbero contribuire alla riduzione di funzionalità di importanti strutture vascolari e nervose contigue.

Interventi specifici possono inoltre essere eseguiti con ottimi risultati su eventuali cicatrici del cesareo, allo scopo di eliminare aderenze e restituire mobilità, nonché ridurre fastidi correlati al capoparto.

Recuperare le capacità fisiche contribuirà a mantenere alto anche il morale e l’efficienza generale della neomamma.

Perle di Salute – Affrontare la stanchezza cronica con la spazzolatura a secco

Con grande probabilità alla domanda “come stai?” una neomamma risponderà “stanca”.
Questo senso di spossatezza caratterizzerà interi periodi del post nascita, impegnate come si sarà a includere la gestione del bambino nella propria quotidianità.
Un buon rimedio, efficace e poco invasivo, per rendere più sopportabile questa nuova costante, potrebbe essere una pratica energizzante di facile realizzazione e sicuramente benefica: la spazzolatura a secco.
Questa tecnica, ripresa dall’idrobalneoterapia, consiste nell’eseguire, con movimenti prima lineari e poi circolari, a partire dalla pianta del piede fino alla punta delle dita delle mani, una completa spazzolatura della cute con una spazzola con setole di fibre naturali.
Se eseguita quotidianamente,  questa pratica genera un effetto rinvigorente, tonificante e purificante, stimolando il microcircolo e il metabolismo dei tessuti

Ipertensione e Medicina Tradizionale Cinese

La pressione sanguigna (o pressione arteriosa) è la forza con cui il nostro cuore “pompa”, spinge, il sangue nelle arterie e nelle vene, la forza del flusso sanguigno contro le pareti interne dei vasi.
La pressione è elevata nelle arterie, mentre si riduce nelle vene e nei capillari.
L’Ipertensione Arteriosa è tra le malattie cardiovascolari più frequenti, rappresentando uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di affezioni cerebro-cardiovascolari e renali.

Ipertensione arteriosa: i valori

50 anni

Sotto i 50 anni un buon valore per la pressione è intorno agli 80mmHg per la minima (diastolica, quando il cuore si rilascia) e 120 mmHg per la massima (sistolica, quando il cuore si contrae).

80 anni

A 80 anni i valori di riferimento mutano, oscillano fra 140/160 di massima e 70/80 di minima.

La crisi ipertensiva si ha con 180 mmHg di massima e/o 120 mmHg di minima

Possibili conseguenze

Spesso l’ipertensione è asintomatica: una certa stanchezza e mal di testa potrebbero essere dei campanelli d’allarme, così come ronzii nelle orecchie (acufeni, tinniti), alterazioni della vista (puntini luminosi davanti agli occhi), perdite di sangue dal naso (epistassi). Ma molte volte è solo la misurazione della pressione che può fornire dei dati certi.

Se non riconosciuta l’ipertensione può danneggiare:

  • le arterie: aorta, carotidi, arterie renali, arterie delle gambe

ma anche gli organi:

  • i Reni: insufficienza renale
  • il Cuore: insufficienza cardiaca ed infarto
  • il Cervello: ictus cerebrale e demenza

Per tale ragione è bene sapere quali sono le abitudini rischiose e quali potrebbero essere le azioni di prevenzione e lo “stile di vita” che può metterci al riparo da questo “killer silenzioso”.

Se una persona si sta sforzando, sia a livello di apparire o cercare di appartenere, sia a livello fisico, producendo, anche senza accorgersene, uno sforzo costante in qualsivoglia sfera d’influenza (mentale, fisica, psichica, affettiva o emotiva) beh… questa persona sta creando le condizioni ottimali affinché si generi “più pressione”.

Ipertensione e i punti della MTC

Secondo la Medicina Tradizionale Cinese l’ipertensione è un eccesso di yang, di energia maschile, di persone sempre in movimento, iperattivi che, anche nei momenti dedicati all’abbandono, non sanno lasciarsi andare.

LI-11 e ST-36

Un valido alleato, un “punto di esperienza”, che ha mostrato eccellenti rendimenti per ridurre la pressione arteriosa , è l’undicesimo punto del meridiano di Grosso Intestino, il punto Qu Chi, siglato LI-11.

LI-11 si trova sui gomiti (sia a destra che a sinistra), ma bisogna piegare il braccio per trovarlo. Il Punto si trova alla fine della piega del gomito, quando lo stesso è flesso.

Questo punto ben si accompagna al mitico Zu san lì, ST-36, confermando una delle ricette tipiche della digitopressione: i punti dell’alto (braccia/gomito) ben si accompagnano a quelli del basso (gambe/ginocchio).


ST-36 è a quattro dita dal bordo del ginocchio, vicino all’osso della tibia.
Con il ginocchio piegato, tocca la rotula. Ora senti il bordo inferiore della rotula. Appoggia quattro dita. Sei sopra l’osso della tibia. Spostati di lato di un pollice e ci sei!

Anche in questo caso, naturalmente, bisogna trattare il punto sia a destra che a sinistra.
Poiché i sintomi dell’ipertensione sono in alto… è importante massaggiare in basso!

Anche il punto KI-1

Un altro punto facile da localizzare è Yongquan, Fontana zampillante, KI-1 sulla pianta dei piedi, al centro.
Anche il primo punto del meridiano di Rene (KI-1) può aiutare ad abbassare la pressione sanguigna.
Facile da massaggiare, oppure da trattare con una pallina sotto i piedi, conferma un’altra delle regole nei trattamenti energetici: per trattare i problemi dell’alto (mal di testa, vertigini) si massaggia in basso (i piedi).
Tuttavia, se la pressione è talmente alta che inizia a provocare vertigini e sintomi più gravi, l’effetto della digitopressione potrebbe risultare troppo lento e non essere quindi appropriato in una situazione di emergenza.

Dieta: alleati e nemici dell’ipertensione

Nella dieta quotidiana, sono molti gli alleati utili per combattere l’ipertensione:

  • L’aglio crudo, ideale per dilatare i vasi sanguigni
  • Le banane e i pomodori, per bilanciare l’eccesso di sodio
  • Il pesce azzurro o il salmone, per regolarizzare la pressione
  • Il sedano e lo zafferano.

Purtroppo ci sono anche dei nemici:

  • Le carni rosse e/o le parti grasse delle carni
  • Gli insaccati e le carni salate
  • I formaggi stagionati
  • Gli alimenti in salamoia (olive) o sotto sale (capperi)

Attenzione anche alla frutta secca!

O alimenti da tenere sotto controllo:

  • Il vino, non più di un bicchiere a pasto (chiedere comunque al medico!); non più di uno al giorno per le donne o per chi ha più di 65 anni. Solo occasionalmente, se sovrappeso
  • Il caffè e il tè, non più di 2 tazze/ine al giorno, salvo esplicito permesso del medico
  • Il sale da cucina. È buona regola ridurre quello aggiunto alle pietanze ed evitare il consumo di alimenti che naturalmente ne contengono elevate quantità

La liquirizia: un suo abuso può innalzare i valori pressori.

RICORDA!
Più attività fisica, moderata e ripetuta: non solo corsa o bicicletta, ma anche ballare aiuta a tenersi in forma!

ATTENZIONE:
L’ipertensione arteriosa non è una patologia psicosomatica, ma può essere influenzata moltissimo dalla componente emotiva: una persona molto ansiosa può avere variazioni pressorie molto ampie che, in alcuni casi, possono favorire, ma non causare, lo sviluppo di una forma di ipertensione arteriosa.

Perle di salute – La Medicina Tradizionale Cinese in cucina

Il cuore ha bisogno di essere sostenuto, soprattutto d’estate.
I tre mesi dell’estate sono governati dall’energia del fuoco. È qui che ci si fa carico dei processi di crescita e maturazione. Il Qi (energia) di Cuore è abbondante di energia Fuoco, il suo sapore associato è l’amaro.
Secondo il ciclo “Nonno – nipote” (di dominazione nei cinque movimenti), il Fuoco può indebolire il Metallo; l’elemento che sarà più attivo in autunno.
L’energia del Metallo governa il Polmone; il sapore associato al Polmone è il piccante.
Durante la stagione estiva si dovrebbero diminuire i cibi amari e incrementare i cibi piccanti, per nutrire il Polmone.

RICORDA: lo zenzero è un sapore piccante!

Massaggio in gravidanza: benefici, controindicazioni e falsi miti

Affrontare una gravidanza comporta una serie di cambiamenti che il corpo della futura mamma deve sopportare e questo non succede sempre con molta facilità.
Alcune strutture anatomiche sono sottoposte a maggiori stress causati dall’aumento di carico e a modifiche del funzionamento di alcuni apparati, cui conseguono, quasi sempre, fastidi e dolori.
Ovviamente, un fisico con una buona “resistenza” e omeostasi di partenza avrà maggiori possibilità di rispondere a questi stress senza generare disturbi.

Principali cambiamenti del fisico in gravidanza

Articolazioni e legamenti

Articolazioni e legamenti del bacino si allentano e divengono più flessibili con il passare dei mesi. Questa consente di creare spazio all’utero ingrandito e prepara la donna al parto, ma comporta, al contempo, una leggera alterazione posturale.

Ormoni

L’equilibrio ormonale viene modificato:
  • la tiroide, stimolata da un ormone prodotto dalla placenta a divenire più attiva
  • i livelli di estrogeno e progesterone aumentano precocemente in gravidanza
  • le ghiandole surrenali aumentano la produzione di aldosterone e cortisolo, che contribuiscono alla regolazione dei liquidi escreti dai reni e di conseguenza vengono trattenuti più liquidi.

Cuore e sistema vascolare

Anche il cuore viene sovraccaricato: con la crescita del feto, il cuore deve pompare una maggiore quantità di sangue verso l’utero e, man mano che quest’ultimo ingrandisce, disturba il ritorno del sangue dagli arti inferiori e dalla regione pelvica al cuore.
Il reflusso ridotto di sangue provoca edema e aumenta il rischio di comparsa di vene varicose, preme contro la vescica, riducendone le dimensioni e quindi inducendo la donna ad urinare con maggior frequenza.

La difficoltà connesse alla gestione di tutte queste alterazioni potrebbe generare sconforto, ansia, frustrazione e anche disagio verso sé stesse.

Terapie manuali e gravidanza

Le terapie manuali rappresentano un’ottima modalità per migliorare lo stato sia fisico che psicologico della puerpera, influenzando la sua salute a diversi livelli, apportando benefici a tutti gli apparati e garantendo, al contempo, un momento di distensione e relax.Non esiste una specifica tecnica di massaggio per la gravidanza, alcune però possono essere più indicate di altre per specifici disturbi, ad esempio:

  • massaggio classico: utile soprattutto per ridurre gli stati di tensione muscolare eccessiva e il dolore
  • drenaggio linfatico manuale: è possibile assistere in gravidanza ad un aumento del ristagno di liquidi (soprattutto nelle ultime fasi della gravidanza) e in questo caso il DLM si rivela la tecnica elettiva
  • massaggio del tessuto connettivo: permette di contrastare, o comunque alleviare, disturbi localizzati all’area di trattamento, ma anche di esercitare effetti riflessi su organi e tessuti lontani, quindi utile per trattare disturbi di natura molto differente
  • massaggio delle zone riflesse del piede: consente di agire in maniera efficace su tutti gli apparati del corpo, quindi è particolarmente utile per trattare le problematiche di natura ormonale, digestiva, cardiocircolatoria.

Un trattamento che combini sapientemente più tecniche, consente di agire su problematiche di natura differente, sommando efficacia e potendo valutare ogni caso di possibile controindicazione proponendo una soluzione alternativa.

Rischi, controindicazioni e falsi miti

Sottoporsi ad un massaggio in gravidanza non comporta, generalmente, alcun rischio per la futura mamma e bambino; esistono tuttavia delle precauzioni da tenere in considerazione:

  • evitare massaggi prima dei 4 mesi: non è mai stata confermata scientificamente una relazione tra l’aborto spontaneo e i massaggi effettuati nei primi tre mesi di gravidanza. L’interruzione si verifica indipendentemente dal fatto che le donne si sottopongano al trattamento e non esistono documenti che citano esplicitamente i massaggi come possibile causa di interruzione spontanea di gravidanza.
    Ma ci guida sempre il principio di precauzione, quindi evitiamo di trattare la paziente in questo periodo così delicato e in cui la percentuale di aborto spontaneo è maggiore.
  • Considerare la posizione di operatore e paziente cercando un giusto equilibrio tra comfort della paziente (che potrebbe mal sopportare il mantenimento di alcune posizioni) ed ergonomia dell’operatore. L’utilizzo di alcuni supporti di posizionamento, cuscini, potrebbe essere indicato, come anche manualità in aree particolarmente sensibili (ad esempio l’addome). In ogni caso, la disponibilità ad adattarsi alle esigenze della paziente è fondamentale.
  • Accertarsi dello stato della paziente e verificare che la gravidanza proceda in modo fisiologico, senza complicazioni, che non sia, cioè, considerata “a rischio”. In questo caso sarà necessario consultarsi con il suo medico curante.
  • Vanno, come sempre, valutate possibili situazioni di allerta per definire indicato il trattamento che ci proponiamo di eseguire. La possibilità di variare tecnica, anche durante la seduta, potrebbe rivelarsi un’ottima strategia per evitare eventuali e possibili situazioni di controindicazione (meglio, in ogni caso, consultare lo specialista in presenza di disturbi particolari come pressione alta, diabete gestazionale, ipotensione, preeclampsia, edema cardiaco, condizioni di rischio che coinvolgono la placenta).

Benefici del massaggio prenatale

I principali benefici del massaggio prenatale riguardano svariate strutture appartenenti a diversi sistemi e apparati, apportando:

  • miglioramento delle funzioni del sistema immunitario
  • sensazione generale di rilassamento, che favorisce il sonno e aiuta a combattere lo stress
  • diminuzione del dolore e miglioramento delle funzionalità di muscoli e articolazioni sottoposti ad un carico aumentato come schiena, arti inferiori,…
  • stimolazione della circolazione sanguigna
  • riduzione delle problematiche connesse alle alterazioni posturali
  • riduzione del gonfiore localizzato
  • miglioramento delle problematiche digestive e di evacuazione
  • preparazione al parto

Perle di salute – Alleggerire il carico sulla schiena

Con l’aumento di volume della pancia, aumentano anche le tensioni che i muscoli, le articolazioni e la colonna lombare devono sopportare. Per ridurre le tensioni e il dolore percepito, che in qualche caso potrebbe risultare invalidante, è importante distendere la muscolatura paravertebrale.

Un semplice ed efficace esercizio che la futura mamma può eseguire in ogni condizione consiste nell’allungare la colonna vertebrale: da posizione seduta e con gli arti inferiori distesi, possibilmente in appoggio contro una superficie verticale, immaginiamo di avere un filo che dal vertice del cranio ci tira verso l’alto. Eseguito con costanza e per qualche minuto di seguito, riporta elasticità alle fibre muscolari irrigidite dall’ipersollecitazione del periodo.

Per approfondire…
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Mal di schiena e muscolo ileopsoas: cause, sintomi, terapia e stretching

Possiamo definire il muscolo ileopsoas come un attore che di nascosto procura, fra le altre cose, mal alla schiena.
È un attore nascosto poiché svolge molte insospettabili funzioni ed è posizionato profondamente nel corpo, in una zona poco accessibile, dunque poco visibile e palpabile.

Da un punto di vista posturale e funzionale è ubicato in un punto strategico, per tanto una sua disfunzione lo rende frequentemente responsabile o, comunque, molto coinvolto nel provocare dolore.

Sintomi e dolore da ileopsoas

Il dolore causato dal muscolo ileopsoas si estende lungo la colonna vertebrale, dalla regione dorsale inferiore sino alla zona dell’osso sacro.
L’andamento tipico di questo dolore è caratterizzato da una particolare distribuzione che risulta essere verticale e laterale alla colonna lombare.

I sintomi che derivano da un suo disturbo riguardano, inoltre, dolori a carico dell’articolazione sacroiliaca e della parte superiore del gluteo.
Spesso il dolore si può estendere sino alla coscia, sia anteriormente che posteriormente; altre volte può coinvolgere l’inguine, simulando ad esempio un dolore da artrosi dell’articolazione dell’anca, oppure irradiarsi verso gli organi genitali.Questi dolori sono solitamente avvertiti dallo stesso lato del muscolo ileopsoas sofferente.

 

Come è fatto e dove si trova il muscolo ileopsoas

Il muscolo ileopsoas è composto da una parte iliaca, chiamata appunto muscolo iliaco, ed una parte denominata psoas o grande psoas.
Esiste anche un muscolo piccolo psoas, il quale si trova in vicinanza del muscolo ileopsoas stesso e svolge alcune funzioni simili ma è, tuttavia, un altro muscolo.

Il muscolo grande psoas è posizionato davanti alla colonna vertebrale ed è connesso nella sua parte superiore lungo i lati delle vertebre lombari e dei dischi intervertebrali posti fra una vertebra e l’altra.
Il muscolo iliaco riveste la parte interna o ventrale di quella parte del bacino chiamata osso iliaco.

Entrambi i muscoli terminano in un unico tendine che si connette ad una parte del femore denominata piccolo trocantere.

A cosa serve il muscolo ileopsoas

Le azioni principali di questo muscolo consistono:

  • nella flessione della coscia
  • nell’estensione della colonna lombare, ossia aumenta la lordosi
  • ha un ruolo posturale importantissimo nel mantenere la posizione eretta e nel controllare la colonna lombare da seduti
  • ruota e porta in fuori la coscia
  • durante il cammino, il jogging e la corsa, veloce o di fondo, questi muscoli sono attivi nel controllare la postura del tronco a livello lombare.

Caratteristiche dei sintomi dolorosi

I sintomi dolorosi aumentano con attività che richiedono trasporto di pesi e migliorano stando sdraiati; il sollievo maggiore lo si ottiene flettendo l’anca.
Alcuni sintomi possono simulare il dolore da infiammazione dell’appendice.

Il muscolo è anche attraversato da alcuni nervi, pertanto può determinarne la compressione. In particolare può arrecare disturbo al nervo femorale, al nervo femoro-cutaneo ed al nervo genito-femorale.
Inoltre, può disturbare i vasi sanguigni dell’arto inferiore, in particolare la vena iliaca, pertanto può provocare un rallentamento del ritorno venoso con conseguente gonfiore e pesantezza degli arti inferiori per edema.
Proprio a causa di queste connessioni, può causare un aumento del dolore durante il ciclo mestruale (dismenorrea).

Trattamento manuale del muscolo ileopsoas

Le cause che possono provocare disturbi al muscolo ileopsoas sono generalmente delle articolazioni dorso-lombari, lombo-sacrali o sacroiliache rigide o bloccate.
Altre volte ad irritarlo cronicamente potrebbe essere una lunghezza diversa degli arti inferiori, perciò potrebbe essere utile una correzione di tale asimmetria.
Un buon consiglio per evitare in parte questi problemi è evitare di stare seduti immobili per periodi di tempo troppo lunghi, soprattutto se la seduta è molto bassa con le anche che si flettono ad angolo acuto.

Utile è anche normalizzare il respiro poiché spesso non è corretto, altre volte risulta indispensabile regolarizzare l’intestino, poiché un colon irritabile può disturbare il muscolo ileopsoas.
Il muscolo ileopsoas può anche essere massaggiato direttamente nonostante la sua profondità, grazie a raffinate tecniche manuali.
L’allungamento, ovvero lo stretching, del muscolo ileopsoas è fondamentale per la risoluzione dei sintomi, solo successivamente si potrà intraprendere un programma di rinforzo degli ileopsoas e degli addominali.

Perle di salute – Stretching del muscolo ileopsoas

Per mantenere in salute i tuoi muscoli ileopsoas, esegui almeno due volte al giorno questo esercizio per allungarli e tenerli elastici.

La figura A rappresenta la posizione di partenza, la figura B quella di arrivo e dovrà essere mantenuta per circa 30 secondi.

 

Questo esercizio non è indicato per le persone che presentano problemi a carico delle spalle, al collo o alla schiena.

 

Cicatrici che non si scordano… colpa delle aderenze!

Un intervento chirurgico, il parto, un momento di distrazione, una rovinosa caduta in bicicletta… Siamo in molti a portare sul corpo delle cicatrici a causa di un evento passato.
A volte abbiamo completamente dimenticato di possedere questi particolari segni, altre invece, a causa della posizione o di un particolare fastidio, il ricordo affiora spesso.
Ogni cicatrice è un segno indelebile, un ricordo, un momento della nostra storia passata e lì dovrebbe rimanere, nel passato.
Consentitemi di spiegarmi meglio. Come terapisti non è raro scontrarsi con pazienti che hanno un rapporto spiacevole con le loro cicatrici. Questo spesso dipende dal fatto che non sono mai state trattate.

I tempi di riparazione del nostro corpo

La cicatrice è l’esito di una lesione, ovvero il risultato di quello che il nostro corpo ha fatto per ripararsi.
Più il danno è complicato, o di grande portata, più si corre il rischio che la cicatrice causi problemi. I disturbi possono presentarsi subito dopo l’evento o a distanza di anni.

Ogni lesione impiega circa 2 anni per ripararsi completamente. Sebbene già dopo circa 15 giorni possiamo vedere la cute integra e rosa, la riparazione è ancora precaria.
Nei successivi 24 mesi andremo incontro al processo di rimaneggiamento, dove la riparazione si strutturerà sempre più fino a diventare stabile. Durante questo periodo viene determinato il futuro aspetto della cicatrice, ed è quindi essenziale che essa venga trattata adeguatamente in questa fase.

Rischi di una cicatrice trascurata

Per quale motivo è così importante intervenire? Quali sono i rischi che si corrono se non si danno le giuste attenzioni ad una cicatrice?

  • Squilibri circolatori: i vasi nella zona di una lesione vengono interrotti e quindi i liquidi potrebbero accumularsi nella zona creando gonfiore, ma anche accumuli di sostanze di scarto e quindi infiammazione.
  • Alterazioni del neurovegetativo: le terminazioni nervose presenti nella zona possono dare sensazioni alterate, come poca o troppa sensibilità ad uno stimolo esterno. Inoltre, una cicatrice “patologica” porta ad aumentare la produzione di adrenalina, alterando l’equilibrio ormonale, e quindi psico-fisico, della persona.
  • Aderenze: il tessuto di riparazione può creare dei filamenti che vanno ad ancorarsi a strutture vicine, come delle corde che impediscono i movimenti, causando danni:
    – posturali
    – muscolo-fasciali
    – organici-viscerali

La cicatrice in 3 dimensioni

Sebbene siamo portati ad immaginare le cicatrici come qualcosa di superficiale, che interessa la sola cute, dobbiamo ricordare che queste si sviluppano in tre dimensioni. Esiste anche una profondità della cicatrice.
Più una lesione è stata profonda, maggiore è la possibilità che ci siano aderenze cicatriziali e che quindi vengano coinvolte anche altre strutture.

La cicatrice addominale

Le cicatrici dovute a chirurgia addominale sono considerate quelle che maggiormente comportano aderenze (si sviluppano quasi nel 100% dei casi).
Non è raro che un paziente, dopo un intervento di questo genere, lamenti problematiche dell’intestino come meteorismo, stipsi o colon irritabile. A volte sono possibili anche dolori cronici addominali o disordini digestivi.

La cicatrice del Cesario in alcuni casi potrebbe dare disturbi del ciclo mestruale, da dolori, alterazioni del flusso, fino all’endometriosi o anche l’infertilità.

Un danno ai muscoli dell’addome (che si inseriscono a livello dell’osso pubico) potrebbe sfociare in una alterazione posturale, che ha incidenze anche sulla regione lombare o causare una pubalgia.
In altri casi il danno potrebbe manifestarsi a livello della vescica con minzioni frequenti, incontinenza o cistiti.

Trattare le cicatrici è indispensabile

Come abbiamo visto, trascurare una cicatrice può recare notevoli danni.
Per questo motivo diventa necessario, ad esempio dopo un intervento chirurgico, non dedicarsi solo alla riabilitazione della sede dell’intervento, ma anche al trattamento della relativa cicatrice.
A volte alcuni interventi ortopedici non sono considerati riusciti proprio perché la cicatrice, o le sue aderenze, ostacolano l’escursione del movimento.

Utilizzando le tecniche di terapia manuale e lo stretching si agisce per eliminare le aderenze e rendere il più possibile funzionale il tessuto cicatriziale, ridando mobilità ai tessuti ed agli organi, che riacquistano la capacità di svolgere il loro lavoro (quasi) come prima.

In questo modo è possibile realmente portare una differenza sostanziale nella vita del paziente, anche se sono trascorsi due anni dall’evento. Anche le cicatrici meno recenti reagiscono molto bene al trattamento.
Non sottovalutiamo l’importanza di una cicatrice sulla nostra Salute generale.

Qualche consiglio per chi ha una cicatrice

  • Evitare il sole per almeno i prime sei mesi. Le cicatrici non contengono melanina e quindi il rischio di causare danni alla cute (tumori cutanei) è davvero elevato. Proteggiamo sempre le cicatrici con la crema solare adeguata.
  • Evitare lunghi bagni per le prime settimane dopo la lesione.
  • Tenere le ferite idratate durante la fase di guarigione, esistono creme apposite per non far seccare troppo la “crosta” ed evitare che si rimuova prima del tempo. Alcune creme sono efficaci anche contro il prurito.
  • Evitare attività fisica per circa 2 settimane dopo una lesione, si corre il rischio di riaprire la ferita.

Se la cicatrice cambia aspetto nel corso del tempo, in genere in peggio, è necessario chiedere un parere medico. Alcuni tumori cutanei possono presentarsi in questo modo.

Perle di salute – Mobilizzare la cute

Per evitare aderenze e tensioni anomale su una cicatrice è necessario mobilizzare la cute.
In base alle dimensioni, ponete la mano o le dita sulla cicatrice.
Con pressione leggera, cercando di non andare in profondità, muovete la mano lentamente in tutte le direzioni possibili, facendo scivolare la cute sulle strutture sottostanti.
Inizialmente troverete un po’ di resistenza da parte dei tessuti, in seguito invece il movimento sarà più fluido.
Se la cicatrice è particolarmente recente, o dolente, potete fare le manovre utilizzando della stoffa morbida tra la cicatrice e la mano.
Ripetete questo esercizio per qualche minuto, una o due volte al giorno, fino a quando il miglioramento non diventa permanente.

La Sindrome di Atlante o Fibromialgia: il dolore invisibile

Tutti conosciamo il mito del titano Atlante, condannato da Zeus a portare sulle sue spalle il peso della volta celeste. A lui, da sempre, vengono associati il dolore protratto ed il senso di oppressione. Caratteristiche che, insieme al dolore avvertito sulla zona della nuca, fanno parte della Sindrome Fibromialgica definita, anche per questi motivi, proprio “Sindrome di Atlante”, una malattia poco conosciuta, molto diffusa e di difficile diagnosi.

Una corretta diagnosi

La Fibromialgia è una malattia cronica che causa principalmente dolori e rigidità articolari e muscolari. Può essere isolata o associata ad altre malattie reumatiche come l’artrite reumatoide. Gli altri sintomi sono vari e poco specifici: stanchezza, astenia, colon irritabile, difficoltà a dormire e disturbi dell’umore, motivo per cui fino a non molto tempo i medici non si spiegavano i sintomi e diagnosticavano una semplice malattia psicosomatica. Ora, per fortuna, non è più così, anche se resta comunque una malattia “misteriosa”.

Le terapie manuali nel trattamento della Sindrome fibromialgica

Anche in questo caso, come in tanti altri, il compito del terapista è soprattutto quello di intervenire per migliorare la qualità di vita delle persone, compromessa dal manifestarsi di molteplici e fastidiosi effetti che colpiscono sia l’area strutturale che quella biochimica e psicologica.

L’approccio olistico delle terapie manuali diventa parte fondamentale nel piano di trattamento per la fibromialgia ed apprendere nuove strategie costituisce un’opportunità reale di intervento per consentire ai pazienti di trovare maggiori risorse per migliorare considerevolmente la propria quotidianità.

Dolore al ginocchio: affrontare il problema con la terapia manuale

Il dolore al ginocchio è uno di quei disturbi con i quali, prima o poi, quasi tutti devono fare i conti: colpisce adulti, anziani, sportivi o sedentari; neppure i bambini ne sono esenti!

Il dolore può presentarsi dopo un trauma oppure iniziare improvvisamente, senza essere la conseguenza di incidenti oppure, ancora, insinuarsi pian piano fino a ché non diventa troppo fastidioso per essere ignorato. Ed è un problema serio, che si vorrebbe risolvere il prima possibile!

L’articolazione del ginocchio è un’articolazione ingegnosa e complessa; la più grande del corpo umano, la più stressata e la più delicata ed è continuamente al lavoro, anche nei movimenti più semplici: regge il nostro peso quando stiamo in piedi, ci consente di piegarci, alzarci, girarci. Proprio per questi motivi, il ginocchio è l’articolazione più a rischio di rotture o alterazioni della funzionalità.

Il male al ginocchio!

Il male al ginocchio può avere diverse gradazioni di dolore e andare dal fastidio sopportabile fino all’impossibilità di appoggiare il piede a terra.
I disturbi variano a seconda dell’età del paziente che ne soffre e dipendono molto dallo stile di vita. Ad esempio uno sportivo, andrà incontro a patologie legate all’usura e all’abuso delle articolazioni.
Anche i sedentari non sono esenti da problematiche perché la miglior “terapia” è tenere le articolazioni in movimento.

Il dolore può dipendere, inoltre, da problemi a una delle numerose strutture all’interno del ginocchio, dai menischi ai legamenti, dalle rotule alle cartilagini.

Capire che cosa non va e affrontare il problema

Saper valutare e fare la messa a punto dell’articolazione del ginocchio risulta essere un’irrinunciabile opportunità terapeutica.
Esaminare funzionalmente il ginocchio ed elaborare un corretto approccio terapeutico in relazione alle più comuni problematiche che interessano questo distretto risulta fondamentale per poter affrontare questa disfunzione.
La terapia manuale a livello del ginocchio,  che  comprende tecniche di mobilizzazione dirette e dolci, è in grado di modulare il dolore attraverso i suoi effetti neurofisiologici,  migliorare l’estensibilità dei tessuti e il movimento fisiologico.


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Il dolore al ginocchio nel paziente sportivo e nel paziente sedentario

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La Spina Calcaneare: prevenire e trattare la regina del dolore al piede

Un sassolino nella scarpa… questa immagine potrebbe essere la rappresentazione della persona che soffre per la presenza di una spina calcaneare a livello del calcagno.
Le persone che hanno un dolore al piede sono moltissime ed in costante aumento: il disturbo affligge sia gli sportivi che le persone più sedentarie.
Forse non tutti sanno che potrebbe trattarsi della spina calcaneare, o sperone calcaneare, disturbo più comune di quanto si pensi.

La fascite plantare, e la sua evoluzione la spina calcaneare, sono la causa più frequente di dolore al di sotto del calcagno: l’infiammazione può colpire l’inserzione della  fascia plantare e/o la tuberosità calcaneare. Oppure può interessare altre strutture come il nervo calcaneare mediale e/o il nervo misto per l’abduttore dell’alluce.

La spina calcaneare è la conseguenza di alterazioni posturali globali causate da:

  • scarpe sbagliate e inadatte
  • stile di vita troppo sedentario o, al contrario, eccessiva attività fisica
  • sovrappeso, obesità

che per anni hanno sovraccaricato il piede.
Il risultato è la formazione di uno sperone osseo, molto doloroso, nella regione inferiore al calcagno.

Primi sintomi

I primi sintomi della spina calcaneare sono un dolore acuto nella zona del tallone ed una deambulazione faticosa, soprattutto al mattino, al momento del risveglio, “a freddo”, e verso la fine della giornata.
Il dolore aumenta alla palpazione della fascia plantare “sotto stress” (flettendo ed estendendo le dita e la caviglia). Ciò nonostante, il 20% circa dei portatori di spina calcaneare convive con questo problema, senza neppure rendersene conto.

Cause, prevenzione e trattamento della spina calcaneare

Le cause principali che conducono alla spina calcaneare ed alla fascite plantare sono i disequilibri articolari ed i microtraumi ripetuti, condizioni spesso concomitanti.
Altre concause possono essere un piede rigido soprattutto se cavo, retrazione del soleo e/o dei gastrocnemi, disequilibri e retrazioni principalmente a carico dei muscoli plantari.

Il trattamento della spina calcaneare dipende dalla presenza o meno della sintomatologia e può prevedere una terapia conservativa (o non-chirurgica) oppure una terapia chirurgica (poco frequente).

Rilevare e trattare le prime modifiche dell’atteggiamento del piede con le sue conseguenze è un’irrinunciabile opportunità terapeutica: ripristinare l’equilibrio del piede.
Il trattamento manuale aiuterà a ridurre la risposta infiammatoria e diminuire la probabilità di sviluppare gli speroni ossei. Inoltre, l’impostazione di un iter terapeutico mirato consente un buon controllo dei sintomi nel 90% dei casi, senza ricorrere alla soluzione chirurgica.

La medicina tradizionale ritiene indispensabile l’intervento chirurgico quando la terapia conservativa non ha avuto alcun successo e quando i sintomi si protraggono incessantemente, di norma, per 9-12 mesi.